Tornano in salute le imprese di famiglia

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«Tra i principali ostacoli allo sviluppo delle imprese familiari c’è la resistenza al ricambio generazionale. Nonostante un’inversione di tendenza registrata a partire dal 2020, un imprenditore su 4 a capo di un’azienda familiare ha ancora oggi più di 70 anni, mentre quelli under 50 sono meno di 2 su 10. Questa difficoltà nell’effettuare il passaggio generazionale nei tempi giusti rischia di frenare innovazione e competitività»: Fabio Quarato è docente al Dipartimento di management e tecnologia dell’università Bocconi, insieme a Carlo Salvato ha coordinato il XVI rapporto dell’Osservatorio sull’Italian Family Business, promosso da Bocconi, Unicredit, fondazione Angelini, Borsa italiana e Aidaf (Associazione imprese familiari): secondo quest’ultima in Italia vi sono 15.800 aziende familiari con 3,3 milioni di dipendenti e 1200 miliardi di fatturato.

Domanda. Per molte piccole imprese il ricambio generazionale è un grosso problema.

Risposta. È vero ma in realtà può rappresentare un’opportunità più che una minaccia, favorendo una maggiore crescita e redditività per le aziende. Quelle che hanno completato il passaggio generazionale tra il 2013 e il 2022 hanno registrato delle performance positive nel triennio post-successione su una serie di indicatori economico-finanziari (crescita del fatturato, investimenti e redditività). La transizione va ovviamente pianificata con attenzione.

D. È in crescita o meno la continuità familiare nelle aziende?

R. C’è un’accelerazione nell’apertura verso membri esterni alla famiglia di controllo. Nelle aziende più grandi tale trend è in corso da diversi anni mentre nelle aziende di minori dimensioni questo processo è partito dal 2020. I modelli di leadership familiare hanno avuto performance migliori, soprattutto durante il periodo Covid. Questo duplice risultato porta a ritenere che ci sia stata anche una migliore selezione dei leader familiari alla guida delle imprese familiari nell’ultimo decennio.

D. Che fare per favorire il passaggio generazionale?

R. L’impatto sulle performance aziendali risulta amplificato quando il successore ha maturato almeno un anno di esperienza fuori dall’azienda di famiglia, sei mesi all’estero e possiede una laurea magistrale, preferibilmente in ambito economico. Questi fattori contribuiscono ad un passaggio generazionale che migliora la redditività e la crescita aziendale, garantendo continuità e innovazione.

D. In cosa consiste la differenza tra la precedente e la nuova generazione?

R. La SeniorGen è più legata a scenari competitivi meno internazionali e meno influenzati dalla digitalizzazione, mentre la NextGen si muove in contesti più dinamici e globalizzati. Quest’ultima ha una maggiore predisposizione a intercettare nuovi trend di mercato, per via di una conoscenza più approfondita delle dinamiche internazionali, della comprensione dei processi di data analytics and business intelligence, oltre che una maggiore affinità con le nuove generazioni di consumatori.

D. Quali sono i punti di forza e di debolezza delle imprese familiari?

R. Il principale punto di forza è rappresentato dalla resilienza. Nonostante i problemi di questi anni, rispetto ai livelli pre-Covid (2019) l’occupazione è cresciuta del 17,9% e la redditività operativa del 19,6%. La debolezza è la spinta a volte insufficiente a lavorare verso una governance più evoluta: meno del 6% delle aziende monitorate dall’Osservatorio ha un Consiglio d’Amministrazione in linea con le best practices di diversity (che prevedono la presenza di almeno un componente con meno di 40 anni di età, almeno il 33% di consiglieri donna, almeno un componente non familiare, al massimo un componente con oltre 75 anni di età, e così via). Inoltre, è ancora molto elevata la quota di aziende guidata da un «uomo solo al comando» (gli amministratori unici), pari al 30,3%.

D. In che modo le imprese familiari affrontano la globalizzazione?

R. Nell’ultimo ventennio sono aumentati considerevolmente gli investimenti diretti all’etero localizzati in Asia (15% nel 2023 contro 4% nel 2003) e in Nord America (16% nel 2023 contro 7% nel 2003). Nonostante questo, soltanto il 27,1% delle aziende familiari fa investimenti diretti all’estero, un dato che evidenzia come il percorso di internazionalizzazione sia meno diffuso di quanto sarebbe lecito attendersi. È fondamentale che queste imprese affrontino tale processo con maggiore determinazione. Inoltre la crescita dimensionale rappresenta un fattore strategico per competere a livello globale. Tra le aziende di maggiori dimensioni (oltre 250 milioni di fatturato), ben il 65,3% effettua investimenti all’estero Quindi la propensione all’internazionalizzazione è favorita da modelli di leadership collegiale e governance meno familiare che mostrano una maggiore tendenza a espandersi all’estero. Se le numerose pmi familiari, di cui il paese è ricco, riuscissero a fare il salto dimensionale, il potenziale di crescita dell’internazionalizzazione potrebbe essere più significativo.

D. Qual è il grado di utilizzo della finanza da parte delle imprese familiari?

R. Circa l’8,1% ha aperto il proprio capitale, privilegiando la cessione del controllo (5,5% dei casi). Seguono la cessione di una quota di minoranza (1,7%) e la quotazione in Borsa (0,9%). Poiché emerge una relazione positiva tra l’apertura del capitale e le performance aziendali, sarebbe auspicabile che un numero maggiore di aziende familiari valutasse l’apertura del capitale come leva strategica per accelerare lo sviluppo.

D. Quali sono gli errori che l’Europa deve evitare perché la transizione green non penalizzi le imprese familiari?

R. Deve evitare di imporre regolamenti troppo rigidi e uniformi, che rischiano di penalizzare le imprese familiari. Servono incentivi accessibili, una transizione graduale e sostegno all’innovazione per colmare il divario senza compromettere la competitività del nostro tessuto produttivo familiare.

D. Queste imprese riusciranno a gestire l’avvento dell’intelligenza artificiale?

R. Le imprese familiari dovranno colmare il gap investendo in competenze digitali, innovazione e una governance più aperta, affinché l’Ia diventi un motore di crescita e competitività anziché un ostacolo. E su questo l’avvento delle nuove generazioni potrebbe fornire un grande contributo. Per tale motivo è importante procedere con determinazione sul percorso di formazione e di inserimento della NextGen, l’unica che può avere le giuste competenze e capacità per fronteggiare le sfide derivanti dall’avvento dell’intelligenza artificiale, ma non solo.



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