cosa funziona, cosa frena Il punto di vista di Marina Micheli – Head of Crowdfunding Division, ACCELERA HUB – StartUp Magazine

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Parlare di “Start up investibile” non significa solo riferirsi a un’idea brillante né ad un team carismatico. Non basta avere un prodotto funzionante o una tecnologia interessante. Oggi – nel mercato maturo e selettivo dell’equity crowdfunding e della finanza alternativa – investibile è solo quella Start up che dimostra di saper generare valore industriale con il capitale raccolto.

In altre parole: non chi è bravo a raccogliere soldi, ma chi sa farli fruttare.

Un investitore professionale – che sia un fondo, un club deal o un family office – non guarda più solo la “vision” né la crescita potenziale dichiarata. Esamina la struttura profonda dell’impresa, la sua capacità di camminare da sola, di sostenere il passo della crescita e, soprattutto, di non crollare sotto il peso del capitale esterno. L’investibilità è quindi un concetto che riguarda la coerenza tra ambizione e capacità operativa, e si misura con precisione chirurgica.

Il primo elemento che viene osservato è la sostenibilità del modello di business in assenza di finanza esterna.

Una Start up che genera già margini, o che ha identificato un percorso credibile verso il break-even, è vista con ben maggiore favore rispetto a un’impresa che dipende cronicamente da nuovi round per sopravvivere. Nessuno vuole investire in imprese “da accelerare all’infinito”: il capitale non è un lubrificante, è una leva e come tale, pretende un punto d’appoggio.

Un secondo fattore decisivo è la struttura societaria e la governance. Una cap table disordinata, con numerosi soci inattivi o privilegi opachi, è spesso un deterrente immediato. Lo stesso vale per la mancanza di una governance professionale: un board indipendente, un comitato strategico, anche informale, sono segnali forti. I capitali privati non cercano solo ritorni finanziari: cercano trasparenza, metodo e controllo. Un investitore può accettare il rischio di mercato, ma non tollera il caos organizzativo.

La governance è anche un indicatore della serietà contrattuale. I patti parasociali, la presenza o meno di clausole di drag-along, il livello di protezione offerto ai nuovi soci: sono tutti segnali che l’investitore analizza prima ancora di guardare al business. Non esiste investimento professionale senza un set contrattuale coerente. Una Start up che non si è mai posta il problema della struttura giuridica con cui accoglierà un nuovo socio non è pronta, indipendentemente dalla bontà del suo prodotto.

La capacità di metabolizzare la crescita è il terzo punto. La vera scalabilità non sta solo nel vendere di più, ma nel riuscire a sostenere il peso di una crescita rapida. I processi operativi, la gestione delle risorse umane, la supply chain, i flussi finanziari devono essere progettati per espandersi senza collassare. In molte Start up la crescita è ancora una variabile tattica, affidata alla fortuna o al carisma dei founder. L’investitore vuole sapere esattamente cosa succede al suo euro una volta entrato in azienda.

Un altro elemento critico, spesso sottovalutato dai founder, è la strategia post-money. L’investitore non entra per finanziare il presente, ma per attivare un futuro già pianificato.

Una Start up realmente investibile ha già in mano partnership da consolidare, canali commerciali pronti ad assorbire nuovi budget, magari un accordo di debito ponte da affiancare al round. Le migliori operazioni viste nel 2024 sono state quelle in cui il round non era un inizio, ma un acceleratore misurabile di qualcosa già avviato.

Infine, c’è il punto più rilevante: la patrimonializzazione. Una Start up è investibile solo se è in grado di trasformare il capitale raccolto in valore strutturale: asset, tecnologia proprietaria, brand, capitale umano qualificato, proprietà intellettuale. È finita l’epoca in cui il burn rate rappresentava l’unico indicatore di interesse. Oggi, i capitali cercano evidenze tangibili di solidità, anche in funzione di requisiti regolatori e fiscali: dall’accesso al credito alle operazioni di M&A, fino alla preparazione per eventuali IPO light.

La patrimonializzazione non è un obiettivo generico, ma un indicatore tecnico. È ciò che distingue una Start up attrattiva da una Start up finanziabile. Una realtà patrimonializzabile è in grado di attivare strumenti ibridi – debt, convertible, leasing operativo – e dialogare con attori diversi: dalle piattaforme di lending agli istituti di credito, fino ai fondi infrastrutturali. In altre parole, è una Start up che può attrarre capitale anche fuori dal circuito equity, perché ha già dimostrato di saper trasformare il capitale in struttura.

Questo cambia radicalmente la relazione con l’investitore: si passa dal capitale che “scommette” al capitale che “entra in quota”, in una logica più industriale che speculativa.

Non è l’investitore a fare la differenza in una Start up. È la Start up a dover dimostrare di essere in grado di fare la differenza per chi investe.

Marina Micheli

Head of Crowdfunding Division di Accelera Hub

Investire in Start up: cosa funziona, cosa frena Il punto di vista di Marina Micheli – Head of Crowdfunding Division, ACCELERA HUB



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