Il fact-checking delle “bugie” contro il Jobs Act

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Secondo Italia Viva, poi, non è vero che il Jobs Act ha indebolito le tutele sul mercato del lavoro, anzi: ha permesso di abolire le “dimissioni in bianco”, «un’odiosa pratica che colpiva soprattutto le donne».

L’espressione “dimissioni in bianco” fa riferimento alla pratica con cui alcuni datori fanno firmare ai neoassunti (spesso giovani o donne) una lettera di dimissioni senza data, da tenere da parte e usare all’occorrenza per licenziare il lavoratore, simulando una sua dimissione volontaria. In passato, questo stratagemma veniva usato, per esempio, per licenziare dipendenti diventate madri o per ricattare lavoratori scomodi. 

Già tra il 2007 e il 2008 si cercò, senza successo, di contrastare questo fenomeno. Un primo tentativo è stato fatto nel 2007 con la riforma “Damiano” (dal nome del ministro del Lavoro del secondo governo Prodi, Cesare Damiano), che prevedeva l’obbligo per il lavoratore di compilare online un modulo di dimissioni. Il modulo, una volta protocollato, veniva inviato al Ministero del Lavoro e stampato per essere consegnato al datore. In mancanza di questa procedura, le dimissioni erano considerate nulle.

Nel 2012 è stato introdotto un nuovo sistema: le dimissioni e le risoluzioni consensuali sono diventate efficaci solo dopo una convalida presso un ente autorizzato. In alternativa, il lavoratore poteva firmare una dichiarazione in calce alla comunicazione di cessazione trasmessa per via telematica. Questa procedura si è rivelata nel tempo ancora macchinosa: in caso di mancata convalida o firma, il datore era tenuto a invitare formalmente il lavoratore alla convalida. Se dopo sette giorni il lavoratore non si presentava, il rapporto si considerava risolto. In ogni caso, il lavoratore conservava la possibilità di revocare le dimissioni.

Nel 2016, con l’introduzione della piattaforma telematica per le dimissioni online, il governo Renzi ha effettivamente reso più semplice ed efficace il contrasto alle dimissioni in bianco. Da allora, le dimissioni devono essere compilate direttamente dal lavoratore tramite un sistema digitale gestito dal Ministero del Lavoro o con l’assistenza di soggetti abilitati. Questa procedura ha reso più difficile per i datori di lavoro abusare della firma preventiva e ha rappresentato un passo concreto nella tutela dei lavoratori più vulnerabili. 

Dunque, il governo Renzi non ha abolito le dimissioni in bianco partendo da zero, ma ha rafforzato e semplificato un percorso normativo avviato anni prima. 

Questo intervento, per quanto importante, non basta comunque da solo a smentire la critica secondo cui il Jobs Act avrebbe privilegiato le esigenze delle imprese più che quelle dei lavoratori. L’introduzione della procedura telematica ha inciso su un problema specifico e circoscritto, ma non ha modificato in modo strutturale il quadro complessivo delle tutele. Anzi, il cuore della riforma è rimasto l’allentamento delle garanzie contro i licenziamenti, accompagnato da misure di accompagnamento ancora oggi oggetto di valutazioni divergenti. Per questo, l’impatto del Jobs Act sui diritti dei lavoratori continua a essere al centro di un dibattito aperto, in cui dati ed evidenze forniscono letture tutt’altro che univoche.



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