La rendicontazione sostenibile può cambiare il lavoro delle Pmi. Zambelli (CEE): «Se vista come un’opportunità diventa un vantaggio competitivo»

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di
Giorgio Pirani

Le nuove regole europee sulla sostenibilità semplificano gli obblighi per le grandi imprese, ma anche le Pmi dovranno adeguarsi per restare competitive

La Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), la normativa dell’Unione Europea che introduce nuovi obblighi di rendicontazione sulla sostenibilità per le imprese, sta rivoluzionando il modo in cui le aziende operano e comunicano il loro impatto ambientale, sociale e di governance. Ma se inizialmente gli obblighi riguardavano solo le grandi imprese, la direttiva sta avendo un effetto a cascata su tutta la filiera, coinvolgendo anche le PMI.

I cambiamenti del pacchetto Omnibus

Inizialmente la direttiva imponeva la redazione di un report ESG a tutte le aziende con più di 250 dipendenti, che però non faceva felici le aziende.
Come spiega Fabio Zambelli, direttore del Consorzio Esperienza Energia (CEE), società con l’obiettivo di facilitare l’accesso delle imprese al mercato dell’energia in seguito alla sua liberalizzazione: «ci sono state tensioni legate a questi obblighi, in quanto la rendicontazione non finanziaria risultava troppo stringente». 




















































Per questo, il 26 febbraio 2025 l’Unione Europea ha introdotto il pacchetto Omnibus, «che ha reso la rendicontazione più semplice, aggregando alcuni indicatori e innalzando la soglia delle aziende coinvolte. Ora l’obbligatorietà riguarda imprese con più di 1.000 dipendenti e un fatturato superiore ai 50 milioni di euro».

Le Pmi devono seguire le grandi imprese

Perché sebbene le Pmi non sono direttamente obbligate a seguire la CSDR, spesso sono coinvolte indirettamente. «Le grandi aziende chiedono a tutta la loro filiera di fornitori e stakeholder di fornire informazioni su ambiente, società e governance. Per questo motivo, molte Pmi si trovano a dover adottare standard ESG per mantenere la competitività sul mercato».

Un effetto a cascata quindi, che porta le piccole e medie imprese sia ad adeguarsi agli standard per evitare sanzioni e migliorare il proprio posizionamento sul mercato, e poi per rispondere alle richieste dei grandi clienti, che saranno tenuti a monitorare la sostenibilità della loro catena di fornitura e potrebbero escludere fornitori non conformi.

L’importanza del VSME

Un ulteriore strumento introdotto per agevolare la rendicontazione delle piccole e medie imprese è il VSME (Voluntary Sustainability Reporting Standards for Non-Listed SMEs), ovvero un nuovo standard di rendicontazione con lo scopo di semplificare la comunicazione della sostenibilità per le Pmi.

Messo a disposizione dalla Commissione Europea e l’EFRAG (European Financial Reporting Advisory Group), «questo strumento permette di raccogliere i dati in modo semplice e accessibile, garantendo trasparenza e comparabilità tra i bilanci di sostenibilità di diverse imprese», afferma Zambelli. Prima, i bilanci erano redatti con indicatori diversi, rendendo difficile il confronto. Con il VSME, invece, si vanno a uniformare gli standard di sostenibilità

Come la sostenibilità diventa un’opportunità

Tutte mosse che portano le aziende italiane ad avvicinarsi di più ai temi della sostenibilità. Ma queste nuove direttive non rischiano di creare un divario tra grandi aziende, con maggiori risorse per investire in ESG, e Pmi, che potrebbero percepire questi obblighi come un costo? Secondo Zambelli, tutto dipende dall’approccio: «Se un’azienda vede la rendicontazione ESG come un’imposizione allora si, potrebbe essere un limite. Ma se la si pensa come un’opportunità, allora può migliorare il rapporto con dipendenti e stakeholder. Dimostrare di avere politiche sociali efficaci, con un ambiente di lavoro positivo e flessibile, può diventare un vantaggio competitivo».

13 maggio 2025



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