Per il Tar legittimo il payback sui dispositivi medici, le aziende minacciano stop a forniture

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Roma, 9 maggio – Il Tar del Lazio ha respinto i ricorsi presentati dalle imprese contro il payback sui dispositivi medici, confermando la legittimità del meccanismo che le assoggetta all’obbligo della copertura degli sforamenti dei tetti di spesa per gli anni tra il 2015 e il 2018. La sentenza, attesa da tempo, non era certamente quella che si attendevano le aziende e rischia ora di innescare conseguenze molto pesanti sulle forniture ospedaliere di questi prodotti, in ragione dei problemi di sostenibilità industriale già paventati dalle imprese.

Nella loro sentenza, i giudici amministrativi evidenziano il fatto che le aziende erano già a conoscenza del quadro normativo introdotto dal decreto legislativo n. 78/2015, circostanza che avrebbe dovuto indurle a considerare, fin da allora, l’eventualità di un rimborso in caso di superamento dei tetti. In buona sostanza, il Tar Lazio afferma il principio che la prevedibilità del rischio rende legittima l’applicazione retroattiva del contributo.

La reazione delle imprese non si è fatta attendere ed è al calor bianco: le principali associazioni del settore parlano di un colpo durissimo per l’intero comparto dei dispositivi medici e invocano un intervento immediato del Governo per evitare lo stop alle forniture.

“Abbiamo già avviato un tavolo di confronto con il Governo, ma, visti gli ultimi sviluppi, in assenza di un intervento immediato, saremo costretti a valutare lo stop delle forniture di dispositivi medici agli ospedali”  dichiara Sveva Belviso, presidente di Fifo Confcommercio (nella foto). “Non possiamo garantire l’approvvigionamento di materiali essenziali quando lo Stato pretende di far pagare alle imprese miliardi di euro per inefficienze imputabili alle proprie Regioni. In questo scenario, migliaia di pazienti potrebbero subire conseguenze dirette dalla mancanza di dispositivi medici, dai ventilatori polmonari agli stent coronarici, dalle protesi ortopediche fino ai dispositivi per la dialisi. Per evitare il fallimento di oltre 1500 aziende e compromettere la tenuta del sistema sanitario nazionale, chiediamo all’Esecutivo di dar seguito al tavolo tecnico accettando la proposta delle associazioni di categoria“.

Le sigle di settore: “Senza intervento urgente del Governo, forniture a rischio”

Anche Gennaro Broya de Lucia, presidente di Conflavoro Pmi Sanità, definisce la sentenza “una pagina nera per il diritto” e denuncia una norma che “mina la certezza giuridica e travolge l’equilibrio economico di migliaia di piccole e medie imprese del settore”. Tre i punti critici evidenziati: consapevolezza presunta delle imprese, impatto economico trascurato sugli appalti pubblici e incompetenza del Tar sulle contestazioni ai provvedimenti regionali.

Per Broya de Lucia, la sentenza del Tar “lascia senza tutela le aziende e le spinge verso il baratro, obbligandole a rimborsare forniture effettuate anche dieci anni fa, in base a regole decise solo dopo. Una norma retroattiva che mina la certezza del diritto e travolge ogni equilibrio economico, soprattutto per le piccole e medie imprese. A questo punto, l’unica via è politica: chiediamo la sospensione immediata dell’efficacia della norma per tutte le imprese attualmente a rischio e una soluzione strutturale e definitiva dal tavolo in corso presso il Mef”.  in assenza di un intervento rapido e deciso, conclude il presidente di Conflavoro Pmi Sanità “centinaia di imprese del medtech italiano scompariranno, con danni irreparabili anche per la tenuta del Servizio sanitario nazionale”. 

La linea delle imprese – espressa in una nota congiunta di sette sigle di settore,  Aforp, Confapi salute università ricerca, Confimi Industria Sanità, Confindustria dispositivi medici, Conflavoro Pmi Sanità, Coordinamento filiera e Fifo Confcommercio – parte dalla considerazione che, contrariamente a quanto sostenuto dal Tar, non conoscevano la spesa nazionale in dispositivi medici, nonostante fosse noto il tetto di spesa, e non erano in grado di prevedere la quota parte di compartecipazione alla spesa pubblica. “Non è possibile sostenere che gli esiti delle gare pubbliche non siano stati alterati, considerando l’impossibilità delle imprese di conoscere ex ante i tetti di spesa regionali” argomentano le associazioni di settore. “Appare, inoltre, non corretto che il Tar abbia considerato il tetto di spesa come un parametro unico e nazionale, trascurando la definizione di tetti distinti a livello regionale. Il ricorso al Consiglio di Stato è dunque un atto dovuto. Si tratta di un duro colpo per le imprese e per la loro sopravvivenza”. 

“Come sottolineato dal ministro Giorgetti, il payback evidentemente era un cerotto a  un’emorragia che merita altri tipi di cure’ e non un fondo sociale e tanto meno un ‘contributo solidaristico’, come definito dalla sentenza della Corte costituzionale e dallo stesso Tar, e non può esserlo per sempre”  scrivono ancora le associazioni di settore, affermando che  “l’impresa privata non ha il dovere di sostenere il Servizio sanitario pubblico e questo non accade in nessun altro settore. Rendere il sistema sanitario economicamente sostenibile è possibile, ma non sono i tetti di spesa e il payback la strada: questa norma porterà a una riduzione dei posti di lavoro, degli investimenti e del Pil”.

La conclusione del cahier de doleances delle imprese riguarda le possibili conseguenze per il Ssn, “che non potrà più contare sull’accesso a dispositivi di qualità per medici e pazienti. Per garantire la sostenibilità del sistema sono necessari cambiamenti strutturali e una governance del settore che superi il payback e preveda tetti di spesa adeguati; una visione sistemica del comparto che comprenda a pieno le problematiche industriali; una programmazione sanitaria per garantire l’allocazione efficiente delle risorse; un sistema che garantisca l’accesso rapido alle innovazioni che migliorano realmente la qualità della vita dei pazienti. Urge un intervento immediato del Mef”.



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