Caos Pnrr senza fine: 14 miliardi da piazzare, senza saperli spendere

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L’esistenza di una quinta revisione del piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) richiesta dal governo Meloni alla Commissione Europea è stata confermata ieri ai sindacati durante l’incontro sulla sicurezza sul lavoro a Palazzo Chigi. Il ministro delegato alla rogna, Tommaso Foti, ha ipotizzato che dai 14 miliardi del «tesoretto» che l’esecutivo non è in grado di spendere per i progetti preventivati potrebbero in futuro arrivare ulteriori risorse per le politiche contro gli infortuni e le morti sul lavoro.

Sarebbe inoltre possibile, avrebbe aggiunto il ministro, anche un passaggio di risorse dal programma «Gol» al «Fondo nuove competenze», giusto per alimentare il business della formazione e della disoccupazione. Senza contare l’eventualità di dare altri soldi alle imprese: il programma Transizione 5.0 che non si è riusciti a spendere. È stato già fatto nelle precedenti revisioni – ben quattro – del progetto più importante in corso per quanto riguarda le politiche pubbliche.

Al momento sembra sventata la possibilità che i soldi vadano alla difesa, ma bisogna capire cosa si intende per «competitività delle imprese». Questa è l’espressione usata si ritiene infatti che produrre armi sia «competitivo».

Con il 2% del Pil da spendere in cannoni, e da trovare entro dicembre, tutto è possibile. Senza contare che il pizzo ai militari salirà a oltre il 3%. Lo stabilirà il vertice della Nato all’Aja del 24 giugno prossimo. Il Pnrr si conferma essere un caos. Maurizio Landini, segretario della Cgil, ieri si è detto «preoccupato. In realtà non si stanno spendendo i fondi che erano previsti, c’è un ritardo e quindi questa è un’occasione che il nostro paese non può perdere».

La Fondazione Openpolis ha dato per prima la notizia (Il Manifesto di ieri) e ha anche fatto una storia delle quattro precedenti revisioni.

Una prima richiesta di revisione, limitata alla modifica di 10 scadenze, risale al luglio del 2023.

Una seconda più sistematica, inviata a Bruxelles nell’agosto dello stesso anno, ha invece riguardato un gran numero di misure. Il processo di revisione di 24 misure è proseguito a marzo 2024. Nell’ottobre dello stesso anno un’ulteriore revisione ma limitata.

La richiesta della quinta revisione, ha confermato ieri la commissione Ue, «include, tra l’altro modifiche tecniche relative a tappe e obiettivi della settima richiesta di pagamento». Bruxelles ha detto di «non avere ricevuto la richiesta di spostare o trasferire alcuni obiettivi/traguardi dal Pnrr alla politica di coesione».

Ben 23 paesi su 27 europei hanno presentato più di una richiesta di revisione del proprio Pnrr. Il mutato contesto internazionale, a partire dal conflitto russo-ucraino, ha inciso sulla capacità di rispettare le tempistiche concordate con Bruxelles. Nel caso dell’Italia ci sono risapute, ed evidenti difficoltà interne che hanno portato spesso il governo Meloni a contraddirsi per quanto riguarda la richiesta, avanzata dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, di un rinvio della scadenza imperativa del Pnrr a giugno 2026.

Richiesta respinta da più di un anno alla quale diversi ministri non riescono a rassegnarsi. Ciò che sta emergendo, e si fa fatica ad accettare, è il fatto che è stato ingenuo prendere 194 miliardi di euro ai tempi del Conte 2 e di Draghi, proponendosi di risolvere in corsa le difficoltà di spendere fondi Ue già riscontrata storicamente.

Il governo Meloni resta con il cerino in mano. Dei problemi derivanti da un’idea di politica economica discutibile e problematica, poco o nulla interessa le opposizioni, Che anche ieri si sono soffermate sulle difficoltà di Meloni, non sulle proprie responsabilità.



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