L’Italia fa grandi affari tra le stelle, boom della space economy

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Il Paese è all’avanguardia nel settore tecnologico destinato al cosmo. Grazie ai capitali pubblici, ma anche a piccole e medie aziende, eccellenze del nostro tessuto produttivo.

L’Italia scala la classifica dell’innovazione tecnologica nella «space economy». Nonostante uno scenario caratterizzato da tensioni geopolitiche, instabilità internazionale e il braccio di ferro fra Stati Uniti e Unione europea, che non sembrerebbe favorevole a una crescita del settore, i segnali sono invece di estremo dinamismo. La conferma è venuta dallo Space Symposium, che si è svolto dal 7 al 10 aprile a Colorado Springs, uno dei principali appuntamenti mondiali dell’aerospazio, punto di incontro della comunità spaziale globale che riunisce oltre 10 mila professionisti, leader aziendali e decision-maker di quest’area produttiva. Sul palcoscenico «a stelle e strisce» si è parlato molto italiano. Il nostro Paese era infatti presente con 31 imprese attive nella tecnologia spaziale, guidate dall’Ice-Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, e dall’Asi, Agenzia spaziale italiana.

In questo comparto giochiamo da protagonista come indicano i numeri, visto che siamo la sesta nazione al mondo per rapporto fra investimenti nello spazio e Pil, e la terzo in Europa. Una ricerca dell’Eurispes afferma che, negli ultimi anni, questo rapporto è quasi raddoppiato con una crescita media annua del 9,5 per cento. 

Ottantotto Stati nel mondo investono in programmi spaziali, 14 dei quali hanno capacità di lancio di satelliti e missioni nel cosmo: l’Italia è tra i nove con un’agenzia spaziale e un budget di oltre un miliardo di dollari all’anno. Nel 2024 è stato realizzato un fatturato di 18 miliardi di euro e un contributo all’export di circa otto miliardi. Il principale mercato di riferimento è rappresentato dagli Stati Uniti. Secondo i dati del Trade Data Monitor elaborati dall’Ufficio Ice di Houston, le esportazioni italiane di prodotti aerospaziali verso gli Usa hanno registrato nel 2024 un’accelerazione senza precedenti, raggiungendo un valore complessivo di 3,17 miliardi di dollari, con un incremento del 27,37 per cento rispetto ai 2,49 miliardi del 2023. Questo tasso di crescita è più che doppio rispetto a quello complessivo delle importazioni aerospaziali degli Stati Uniti dal mondo, che si è attestata al 10,15 per cento.

«Le capacità e le competenze di ricerca, industriali e tecnologiche del nostro ecosistema aerospaziale, sono di primo piano. E non perché lo pensiamo noi, ma perché ce lo dicono gli altri.  Abbiamo tante aziende leader nel mondo, basta guardare alle evidenze con risonanza globale del nostro sistema produttivo» commenta il presidente dell’Asi, Teodoro Valente, appena tornato dal simposio in Colorado durante il quale ha firmato un Memorandum of Understanding con il suo omologo della Korea AeroSpace Administration (KASA), con l’obiettivo di rafforzare la collaborazione già attiva tra Italia e Corea del Sud. 

Sempre in quella occasione, l’Esa, Agenzia spaziale europea, ha definito un accordo per finalizzare un contratto quinquennale con Altec, società controllata da Thales Alenia Space e Asi, per lo svolgimento delle attività di Training, Logistics and Operations (TLO) a supporto delle operazioni sulla Stazione spaziale internazionale e delle future missioni di esplorazione. 

Mentre si discute di un accordo con SpaceX di Elon Musk per l’uso della rete dei satelliti di Starlink, i programmi italiani non stanno fermi. A gennaio scorso è stato lanciato il primo satellite, come apripista della costellazione Iride, il programma per l’osservazione della Terra finanziato attraverso il Pnrr e coordinato dall’Agenzia spaziale europea con il supporto di quella italiana. 

È il primo di un gruppo di satelliti realizzati dalla Argotec di Torino lanciati in questi mesi, mentre altri partiranno entro l’anno: nel complesso saranno 25 entro il 2026. Iride sarà appunto una costellazione di famiglie di satelliti, 68 in totale. Il programma ha un valore di un miliardo e 100 milioni, di cui 800 milioni finanziati proprio dal Pnrr e sarà operativo entro giugno 2026. Con questo progetto, l’Italia sarà dotata di un sistema che non avrà eguali, con sensori radar e ottici in grado di osservare la Terra in qualsiasi condizione atmosferica. Si potranno monitorare la qualità dell’aria, la copertura del suolo e la gestione delle risorse idriche. Inoltre servirà per i servizi di emergenza e di sicurezza. 

David Avino, ceo di Argotec, sottolinea che «per la prima volta il Paese ha un programma così importante che ha anche favorito un rientro dei cervelli». Per Iride sono già state assunte oltre 400 persone. Un’altra sfida è stata quella produttiva: «Prima si realizzavano uno o due satelliti all’anno, adesso uno a settimana» conferma il manager.

Il nostro Paese è anche uno dei pochissimi ad avere una filiera completa su tutto il ciclo: dall’accesso allo Spazio alla manifattura, dai servizi per i consumatori ai poli universitari e di ricerca, con un’ottima distribuzione delle attività su tutto il territorio. Secondo uno studio di iCRIBIS (società di Cribis, leader dell’informazione commerciale), il settore si compone di oltre 340 aziende: il 94,2 per cento realizza aeromobili, veicoli spaziali e relativi dispositivi e il restante 5,8 per cento si dedica ai componenti per la produzione, come i sedili.

L’aerospaziale riproduce la morfologia più generale del sistema industriale italiano: qualche campione di livello internazionale come Leonardo, Thales Alenia Space e Avio, e una miriade di piccole aziende, il 76,4 per cento del totale (per l’esattezza: il 35,9 per cento sono Pmi e il 40,5 per cento sono microimprese) concentrate su servizi di alta specializzazione. Il settore mostra quindi un elevato grado di frammentazione industriale e questo limita la capacità di attrarre investimenti privati rispetto ai competitor europei. In Francia, invece, Airbus domina il mercato con un ruolo centrale, mentre in Germania aziende come OHB e MT Aerospace hanno saputo costruire filiere integrate tra pubblico e privato. 

Attualmente in Italia gli investimenti privati risultano marginali, l’incidenza dei fondi di private equity è limitata e vi è una forte dipendenza da finanziamenti pubblici e da bandi europei. 

In Francia, Ardian e Bpifrance hanno sostenuto attivamente il consolidamento delle aziende locali, mentre in Germania gruppi come Deutsche Beteiligungs AG hanno finanziato operazioni strategiche di espansione. 

In Italia, invece, i fondi di private equity si sono concentrati principalmente su settori tradizionali come il manifatturiero e l’energia, lasciando l’aerospazio in una posizione più vulnerabile. Un grosso limite che va superato. Il governo sembra si stia muovendo in questa direzione. Significative le dichiarazioni del ministro del Made in Italy, Adolfo Urso, sulla possibilità che la componentistica auto venga riconvertita per la difesa e l’aerospazio. Una scelta di campo per dare ancora più concretezza strategica a questo comparto.



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