Cina vs USA nel Gnl: Importazioni Azzerate, la Sfida si Accende!


Pechino ha risposto ai dazi di Trump non solo con misure simili, ma interrompendo l’acquisto di gas dagli USA da quaranta giorni: un’azione già vista nel suo primo mandato. Ora, tuttavia, la Cina ha più potere nel mercato.

Il conflitto commerciale tra la Cina e gli Stati Uniti si è intensificato, con la Cina che ha cessato l’importazione del gas naturale liquefatto (Gnl) americano negli ultimi quaranta giorni. Questo stop alle importazioni non si vedeva da giugno 2023, come sottolineato da Bloomberg. Non sembra che la situazione cambierà a breve, con nessuna nave metaniera attualmente in viaggio tra gli USA e la Cina, come riportato da Kpler.

La risposta di Pechino ai dazi imposti da Donald Trump il 10 febbraio è stata l’imposizione di propri dazi su diverse merci, in particolare sui combustibili, con una tariffa del 15% sul gas, rendendo non competitivi i prodotti americani in un mercato attualmente non carente di offerte.

Probabilmente, c’è anche un intento politico di penalizzare gli Stati Uniti, boicottando un’esportazione che ha anche un forte significato simbolico: le cosiddette “molecole di libertà” che la Casa Bianca vorrebbe diffondere ulteriormente a livello globale per affermare il “dominio energetico” statunitense.

È possibile che i compratori cinesi di Gnl abbiano già dirottato molti carichi verso altri mercati, facilitati dalla flessibilità dei contratti americani, che non impongono vincoli di destinazione. Questa pratica si è mostrata efficace soprattutto nel 2022, durante la grave crisi energetica europea, potendo ora avvantaggiare ancora l’Europa e influenzare i prezzi del combustibile verso il basso.

Martedì 18, il prezzo del gas era di circa 41 euro per Megawattora al TTF, il principale hub europeo, mostrando un calo del 30% rispetto ai picchi di quasi 60 euro registrati a febbraio.

Ormai, circa la metà dell’export di Gnl degli USA è diretta verso l’Europa, una tendenza che si è consolidata negli ultimi tre anni, a seguito della diminuzione delle forniture di gasdotto dalla Russia. D’altro canto, la Cina non dipende fortemente dagli USA per il suo approvvigionamento di gas, e viceversa: l’anno scorso, la Cina ha ricevuto solo il 6% delle sue forniture di Gnl dagli USA, circa 6 miliardi di metri cubi di gas, per un valore di 2,4 miliardi di dollari, come riporta un recente studio del Center on Global Energy Policy (Cgep) della Columbia University. Gli USA hanno esportato solo il 5% del loro Gnl in Cina, anche se questa rimane la quota maggiore per un singolo Paese.

Già durante il primo mandato di Trump, la Cina aveva usato il Gnl come strumento di ritorsione: i dazi erano aumentati dal 10% al 25% nel 2019 e le importazioni vennero completamente interrotte da marzo 2019 ad aprile 2020. Oggi, la Cina ha ancora più capacità di influenzare il mercato grazie ai numerosi contratti pluriennali firmati con i produttori americani, soprattutto tra il 2021 e il 2023, e a quelli che potrebbe decidere di non rinnovare in futuro, colpendo duramente i nuovi progetti di terminal di esportazione che necessitano di clienti per ottenere finanziamenti bancari.

Proprio martedì 18, in un gesto altamente simbolico, una compagnia cinese, China Resources Gas International, ha firmato un contratto di fornitura di Gnl con Woodside Energy Resources, il primo da molti anni con una compagnia australiana. Il contratto prevede l’acquisto di 600.000 tonnellate all’anno per 15 anni a partire dal 2027.

Nel frattempo, gli USA hanno intensificato le attività di promozione del proprio Gnl. Tuttavia, “scatenare l’energia americana”, come proposto da uno dei tanti ordini esecutivi firmati da Trump, si sta rivelando complesso. I costi stanno aumentando, spinti da tassi di interesse elevati, carenze di personale e aumenti dei prezzi di materiali e attrezzature, come denunciato dagli analisti di Poten and Partners, che prevedono tariffe di liquefazione superiori ai 2,50 $/mmBtu.

Secondo quanto riportato da Reuters, molti produttori stanno cercando di rivedere le condizioni di vendita con i clienti a causa dell’aumento dei costi. Inoltre, la situazione di Venture Capital in Borsa è indicativa delle difficoltà che il settore potrebbe affrontare: dopo un’IPO deludente, la società ha subito un ulteriore crollo a Wall Street, perdendo oltre un terzo del suo valore in un solo giorno il 7 marzo, a seguito della comunicazione di un significativo calo dell’export e di un inaspettato aumento di 1,3 miliardi di dollari nei costi di realizzazione del nuovo impianto Plaquemines Lng.

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