Stipendi da bocciare, perché gli italiani sono delusi e cosa fare

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito
Abruzzo
Agevolazioni
Agrigento
Alessandria
Ancona
Aosta
Arezzo
Ascoli-Piceno
Aste L'Aquila
Asti
Avellino
Bari
Barletta-Andria-Trani
Basilicata
Belluno
Benevento
Bergamo
Biella
Bologna
Bolzano
Brescia
Brindisi
Cagliari
Calabria
Caltanissetta
Campania
Campobasso
Carbonia Iglesias
Caserta
Catania
Catanzaro
Chieti
Como
Cremona
Crotone
Cuneo
Emilia-Romagna
Enna
Ferrara
Firenze
Foggia
Forli-Cesena
Friuli-Venezia Giulia
frosinone
Genova
Gorizia
Grosseto
Imperia
Isernia
Italia
La-Spezia
Latina
Lazio
Lecce
Lecco
Liguria
Livorno
Lodi
Lombardia
Lucca
Macerata
Mantova
Marche
Massa-Carrara
Matera
Messina
Milano
Modena
Molise
Monza-Brianza
Napoli
Novara
Nuoro
Olbia Tempio
Oristano
Padova
Palermo
Parma
Pavia
Perugia
Pesaro-Urbino
Pescara
Piacenza
Piemonte
Pisa
Pistoia
Pordenone
Potenza
Prato
Puglia
Ragusa
Ravenna
Reggio-Calabria
Reggio-Emilia
Rieti
Rimini
Roma
Rovigo
Salerno
Sardegna
Sassari
Savona
Sicilia
Siena
Siracusa
Sondrio
Sud sardegna
Taranto
Teramo
Terni
Torino
Toscana
Trapani
Trentino-Alto Adige
Trento
Treviso
Trieste
Udine
Umbria
Valle d'Aosta
Varese
Veneto
Venezia
Verbania
Vercelli
Verona
Vibo-Valentia
Vicenza
Viterbo


Gli ultimi dati Istat sono positivi perché ci dicono che, su base annua, rispetto al febbraio dello scorso anno in Italia gli occupati sono cresciuti di 567mila unità (+2,4%) e il tasso di occupazione è aumentato di 1,1 punti percentuali. Al contempo, il numero di persone in cerca di lavoro è sceso del 18,4% (-342mila unità). Ma a livello di stipendi, i cittadini si sentono “premiati” oppure sentono che nella busta paga manca un’integrazione economica rispetto alle mansioni svolte?

Alla delicata e ricorrente domanda ha recentemente risposto un’indagine contenuta nel report Salary Satisfaction dell’Osservatorio JobPricing in collaborazione con Infojobs la quale – numeri alla mano – spiega che l’indice medio di soddisfazione retributiva dei lavoratori e delle lavoratrici è ben al di sotto della soglia della sufficienza.

Vediamo insieme più da vicino questo studio e proviamo a inquadrare gli ingredienti per una possibile netta inversione di tendenza.

Due lavoratori italiani su tre sono delusi del loro stipendio

Alla domanda “Quanto sei soddisfatto del tuo pacchetto retributivo?”, contenuta nell’appena accennata indagine, solo il 4,1% dei partecipanti ha espresso una valutazione “molto soddisfatto”, mentre il 36% ha espresso di essere “abbastanza soddisfatto”.

A spiccare è, però, la valutazione dei delusi, con un 41,3% degli intervistati che si è dichiarato “leggermente insoddisfatto” e il 18,5% che ha detto di esserlo “fortemente”. Insomma, quasi due lavoratori su tre esprime un giudizio negativo su quanto prende mensilmente e vorrebbe che la busta paga (che va compresa e letta con attenzione) sia ritoccata, quanto prima, verso l’alto.

E non sorprende – spiegano gli autori del sondaggio – che un quarto degli intervistati abbia cambiato lavoro negli ultimi due anni, e che il 54% di questi si dichiari oggi più soddisfatto. Inoltre, due lavoratori su tre esprimono la volontà di cambiare lavoro nel corso di quest’anno, mostrando un malessere diffuso che può e deve essere risolto con politiche HR più attente e inclusive.

A ben vedere queste percentuali non stupiscono anche perché si combinano con i dati recentemente forniti dall’Organizzazione mondiale del lavoro, secondo cui l’Italia – negli ultimi anni – è il paese tra le venti maggiori economie del mondo, dove i salari sono cresciuti di meno rispetto all’inflazione. Non basta la diminuzione della pressione dell’inflazione: il potere d’acquisto delle famiglie italiane è avvertito ancora troppo basso rispetto al caro di bollette, generi alimentari e non solo. E questo si avverte soprattutto al momento di ricevere lo stipendio.

La pagella della busta paga è insufficiente

In apertura abbiamo detto che l’indice medio di soddisfazione retributiva è oggi ben al di sotto della soglia della sufficienza, essendo pari ad un eloquentissimo 4,2 su 10. Ma quali sono i fattori che hanno determinato questo giudizio molto negativo? Ebbene, nel report Salary Satisfaction gli autori ne hanno distinti diversi, eccoli di seguito:

  • equità della retribuzione rispetto a quanto richiesto dal ruolo e rispetto agli altri lavoratori in azienda;
  • competitività del proprio stipendio rispetto a quanto offerto da altre aziende simili e concorrenti;
  • performance realmente premiata per l’effettivo contributo al raggiungimento degli obiettivi;
  • trasparenza nelle procedure e nei criteri seguiti in azienda per i riconoscimenti di merito;
  • fiducia nelle ragioni alla base degli stessi riconoscimenti;
  • meritocrazia nell’azienda grazie ad es. a riconoscimenti conferiti a chi realmente li merita di più.

Le singole valutazioni di ciscun fattore sono tutte accomunate dall’essere ampiamente sotto il 6 – il livello più basso è toccato dalla “meritocrazia” con 3,4 – e anche per questo ben si spiega la valutazione ampiamente negativa nel citato indice medio complessivo che, è pur vero, è leggermente cresciuto passando da 3,8 del 2022, a 4,0 del 2023, all’odierno 4,2, in rapporto con l’aumento medio delle retribuzioni rilevato nell’ultimo biennio. Ma è ancora troppo poco perché l’indice resta comunque gravemente insufficiente.

Quando uno stipendio è giusto

L’indagine spiega anche quando la retribuzione è considerata giusta e soddisfacente, indicandone tre elementi chiave:

  • la capacità di garantire il tenore di vita minimo atteso e la sicurezza personale e familiare;
  • l’idoneità a garantire trattamenti analoghi per mansioni, prestazioni e responsabilità simili;
  • l’effettiva proporzionalità al contributo individuale e all’impegno fornito.

L’Osservatorio JobPricing fa notare che questi elementi sono in linea con quelli di “sufficienza” e “proporzionalità” della retribuzione fissati dall’art. 36 della Costituzione.

Non solo. Uno stipendio è giusto anche quando applica quanto previsto dalla direttiva UE 970/2023 sulla trasparenza retributiva di genere e per mansioni di pari valore. E se è vero che le donne si dichiarano oggi più insoddisfatte degli uomini  – il voto generale cala a 3,6 per le prime contro il 4,5 dei secondi – ecco che si capisce ancor meglio l’importanza della citata direttiva, che l’Italia dovrà mettere in campo per giugno 2026.

5 soluzioni per invertire la rotta in modo netto

Dopo aver visto i risultati del report Salary Satisfaction, proviamo a indicare – in sintesi – alcuni strumenti e strategie che le aziende possono adottare per migliorare la soddisfazione retributiva e portare l’indice medio alla sufficienza.

Adozione di piani di crescita professionale e retributiva

Si intende la definizione di percorsi chiari di carriera e sviluppo, collegati a progressioni salariali e la sua utilità sta nel fatto che i dipendenti sono in grado di percepire il proprio valore come crescente nel tempo e si sentono incentivati a restare in ufficio, senza alimentare il turnover.

Uso di benefit personalizzati e flessibili

L’idea è quella di un welfare aziendale più ampio e modulabile in base alle esigenze di ogni lavoratore o lavoratrice (ad es. buoni spesa, assistenza sanitaria, formazione, auto, childcare e così via). Il vantaggio reale sta nell’aumento del valore percepito della retribuzione, senza gravare in modo eccessivo sul costo aziendale.

Ricorso a più frequenti revisioni salariali

Ci riferiamo al monitoraggio e all’aggiornamento periodico degli stipendi (ad es. ogni 6-12 mesi), anche solo parzialmente indicizzato all’inflazione o alle performance individuali. Sarebbe anch’essa una valida soluzione per accrescere la soddisfazione retributiva perché fa percepire attenzione e reattività da parte del datore di lavoro, specie in momenti di caro vita.

Cultura aziendale orientata al riconoscimento

La costruzione di un ambiente dove le performance sono regolarmente valorizzate, anche attraverso riconoscimenti non monetari (si pensi alle menzioni o ai ruoli di responsabilità), aumenterà il senso di gratificazione e appartenenza, anche se il salario non sale subito.

Trasparenza stipendiale

Infine, la già citata trasparenza salariale intesa come condivisione chiara dei criteri usati per definire stipendi, bonus, aumenti e promozioni, non potrà che essere un altro essenziale ingrediente per invertire drasticamente la rotta. Infatti la trasparenza riduce la percezione di ingiustizia o arbitrarietà e accresce la fiducia nei confronti del datore di lavoro.

Ecco perché nell’indagine si sostiene l’idea di superare il modello tradizionale della retribuzione fissa, investendo su quel che è definito Total Reward, uno stipendio trasparente, modulabile e costruito sulla valorizzazione della persona per il suo effettivo contributo al profitto.





Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link