«Non possiamo chiuderci. L’innovazione è una corsa globale». Parla Eleonora Faina

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(Intervista scritta per l’Economista, inserto del Riformista)
Le tensioni commerciali globali stanno ridisegnando le mappe dell’innovazione e delle filiere produttive. L’Europa e l’Italia si trovano a un bivio, con il digitale che continua a crescere a ritmi superiori al PIL, ma con l’adozione delle tecnologie emergenti ancora troppo limitata. Lo sottolinea con chiarezza Eleonora Faina, direttrice generale di Anitec-Assinform, l’Associazione di Confindustria che raggruppa le principali aziende dell’ICT.

«È un momento particolarmente delicato per il nostro comparto», spiega: «Il quadro dei dazi è fluido» e le imprese devono essere pronte a ripensare le loro catene del valore. E «il digitale resta un alleato cruciale proprio in fasi di incertezza come quella di oggi». In questo contesto, le imprese italiane devono essere in grado di adattarsi rapidamente ai cambiamenti.

L’Europa si trova ad affrontare una doppia sfida: da un lato, il digitale continua a crescere a ritmi superiori al PIL, confermandosi un motore anticiclico anche in periodi di instabilità. Dall’altro, però, l’adozione delle tecnologie emergenti resta ancora troppo limitata: «Solo il 7% delle pmi italiane ha progetti strutturati di intelligenza artificiale», osserva Faina, evidenziando come l’Italia rischi di restare indietro nella corsa globale all’innovazione.

Un altro nodo cruciale è il rapporto tra l’Europa e i colossi americani e asiatici. Secondo Faina, la frammentazione europea rappresenta un ostacolo strutturale alla competitività: «Un’Europa che va a 27 velocità diverse, fa fatica a competere con paesi che si muovono come un blocco unico: penso al sistema della ricerca, all’accesso ai capitali, alla politica industriale».

Il riferimento è anche a iniziative come l’ambizioso European Chips Act, insufficiente, da solo, a colmare le carenze strategiche: «In Italia abbiamo eccellenze nei microchip, ma non basta per costruire una filiera completamente autonoma».  

Abbiamo bisogno dunque di grandi player, materie prime e di un mercato unico digitale che funzioni davvero. Per questo, secondo Faina, la nuova Commissione europea dovrà puntare con decisione su semplificazione e armonizzazione normativa: oggi alle imprese serve alleggerire il carico regolatorio e «liberare energie per innovare».

Sul fronte nazionale, la strada per costruire una vera autonomia tecnologica europea, passa da un’accelerazione netta sul fronte della digitalizzazione industriale e della crescita delle competenze. «Oggi non dobbiamo sprecare l’opportunità di usare il digitale per ripensare i processi produttivi. L’IA generativa, ad esempio, non serve solo alla comunicazione esterna: è uno strumento per semplificare e ridisegnare i processi aziendali, liberando risorse e tempo».

La trasformazione, però, deve essere accompagnata da una visione politica chiara: serve una strategia industriale che favorisca l’adozione delle tecnologie di frontiera, rafforzi la formazione STEM e faciliti la crescita delle imprese. «Abbiamo una sfida che si chiama tempo», dice Faina.

Ci sono anche punti di forza. Come «la capacità di integrare tecnologia avanzata con competenze distintive del Made in Italy: la manifattura di precisione, il design, l’ingegneria meccanica e la personalizzazione delle soluzioni». È su questa combinazione che si fonda il successo di settori come la robotica avanzata, la meccatronica, le macchine utensili intelligenti e le tecnologie per l’agroindustria o l’energia.

Non a caso, i dati sull’export confermano la crescita: i servizi ICT sono saliti dell’8,2%, il software del 4,2%. Ma, avverte Faina, rimane il nodo strutturale della scalabilità: «Le nostre pmi, per competere davvero, devono raggiungere una massa critica: la crescita dimensionale non è un vezzo, è una necessità».

Quanto ai mercati emergenti, l’attenzione si sposta su Asia, Medio Oriente e alcune aree dell’Africa, dove la domanda di soluzioni digitali e tecnologie sostenibili è in forte crescita.

Tuttavia, i venti protezionistici preoccupano. I dazi, ricorda Faina, «non sono mai una buona notizia per un’economia globale in cui gli scambi valgono oltre il 70% del totale». Le misure restrittive rischiano di rallentare ricerca e sviluppo, rendendo più fragile la progettazione internazionale, base dell’innovazione tecnologica degli ultimi anni. «Discutere di dazi contro il tech americano significa minare le collaborazioni con partner strategici: è un gioco pericoloso».

Di fronte all’instabilità delle catene del valore, le imprese italiane stanno reagendo investendo di più in Europa e rafforzando la propria presenza sul territorio. Ma anche qui, Faina lancia un monito: «Non possiamo permetterci che la regionalizzazione del digitale diventi chiusura. Dobbiamo ampliare la torta, non ridurla e spartircela in pochi».

La chiave per non perdere il treno dell’innovazione resta l’accesso e la valorizzazione dei dati: «Senza grandi quantità di dati di qualità, non c’è intelligenza artificiale, non c’è trasformazione digitale». E se oggi la tentazione è quella di chiudersi dentro i confini europei, Faina ricorda che ricchezza e crescita sono sempre passate dalla collaborazione internazionale: «Siamo un continente che invecchia. Possiamo affrontare la crisi demografica solo aprendoci, non chiudendoci. È stata questa la strategia che ci ha assicurato prosperità nei decenni passati. E lo sarà anche nei prossimi, se sapremo fare le scelte giuste».







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