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Regalbuto, affiancato dal Coordinatore dell’Area fiscale della Fondazione nazionale dei commercialisti, Pasquale Saggese, ha sottolineato come “la riduzione della pressione sul ceto medio è un obiettivo irrinunciabile che deve essere perseguito poiché, anche per le dinamiche inflattive degli ultimi anni e la conseguente perdita di potere d’acquisto, la tassazione del secondo scaglione di reddito, quello che va da 28 a 50 mila euro e al quale si applica l’aliquota del 35%, appare eccessiva. Si tratta, infatti, di redditi lordi che corrispondono a netti non certamente elevati. In questo contesto, le ipotesi di lavoro potrebbero essere, anche attraverso un processo graduale ma costante, sia di ridurre l’aliquota sia di ampliare il perimetro dello scaglione”.
Il rappresentante dei commercialisti ha inoltre affermato che “rappresenta un aspetto più che positivo il fatto che la legge di bilancio 2025 abbia reso strutturale il primo modulo della riforma Irpef introdotta nel 2024, che si sostanzia nell’accorpamento del primo e secondo scaglione Irpef con conseguente riduzione delle aliquote da 4 a 3 e un risparmio di 2 punti per i redditi da 15 a 28 mila euro”. “Con la stessa legge di bilancio – ha continuato Regalbuto – è stato rimodulato il taglio del cuneo fiscale e, anche in questo caso, l’obiettivo è sicuramente apprezzabile in quanto il taglio del cuneo copre oggi i redditi fino a 40 mila euro. Tuttavia, l’obiettivo è stato perseguito con un sistema di deduzioni e detrazioni decisamente complesso a discapito dello spirito che dovrebbe sovraintendere a qualsiasi intervento, ovvero quello di coniugare politiche fiscali che siano al contempo efficaci, ma anche semplici”.
Regalbuto ha dunque auspicato un intervento che sia caratterizzato da maggiore semplicità dal momento che “anche il tetto alle tax expenditure per i soggetti con reddito complessivo superiore a 75 mila euro, pur essendo dettato da condivisibili ragioni di razionalizzazione della spesa pubblica e di sostegno alle fasce meno abbienti, ha reso certamente più complesso e talvolta aleatorio il calcolo dell’imposta effettivamente dovuta e la possibilità per il contribuente di comprendere preventivamente e agevolmente se la spesa sia o meno detraibile”.
Tra le richieste dei commercialisti, infine, c’è anche quella di individuare forme alternative, correlate a semplici regole di fruizione come è accaduto per il Piano 4.0, per l’utilizzo delle risorse destinate al piano Transizione 5.0 affinché non restino inutilizzate a causa dell’eccessiva complessità della misura.
“L’andamento del piano Transizione 5.0 è sensibilmente inferiore alle attese con conseguente ridotto utilizzo delle risorse programmate a causa dell’eccessiva complessità della misura e le disposizioni tese alla semplificazione introdotte dalla legge di bilancio 2025 non sembrano essere state un volano decisivo – ha spiegato Regalbuto –. Questo contesto, considerate le dinamiche di crescita degli investimenti non particolarmente positive che anche il DFP delinea, evidenzia la necessità che siano individuate adeguate forme alternative per l’utilizzo delle risorse destinate al piano Transizione 5.0 affinché non restino inutilizzate. Considerato che le risorse provengono dal programma REPowerUE, che indirizza le risorse a interventi green sulla sostenibilità ambientale, e data la difficolta di destinare tali somme, ad esempio, al Piano 4.0, che è stato un successo in quanto correlato a semplici regole di fruizione, l’invito è quello di destinarle, per esempio, ad un nuovo piano di efficientamento energetico degli edifici, adeguatamente calibrato e monitorato, che – ha concluso – risponde anche all’obiettivo principale della direttiva case green e potrebbe sostenere il comparto dell’edilizia colpito dalla drastica riduzione delle misure fiscali a sostegno del settore”.
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