Dazi e startup, cosa rischiano le aziende europee dell’innovazione?

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La minaccia dei dazi sulle startup. Le tensioni commerciali tra Europa e Stati Uniti, con la prospettiva di nuove tariffe, rischiano di generare onde d’urto anche sull’ecosistema dell’innovazione. Se da un lato l’impatto immediato sembra limitato – soprattutto perché i provvedimenti si concentrano attualmente su beni fisici – dall’altro, le ripercussioni indirette potrebbero rivelarsi significative. A preoccupare è soprattutto la possibilità che l’Europa risponda con misure protezionistiche sui servizi digitali, la cosiddetta web tax: in quel caso, strumenti oggi fondamentali per l’operatività delle startup, come licenze SaaS, cloud computing e piattaforme di pagamento, potrebbero diventare meno accessibili a causa dell’aumento dei costi.

La questione si fa ancora più delicata per le startup che hanno scelto di costituirsi legalmente negli Stati Uniti: potrebbero trovarsi penalizzate nel vendere in Europa. Allo stesso tempo, le realtà che sviluppano soluzioni di intelligenza artificiale, spesso integrate in macchinari esportati da partner industriali, rischiano di venire escluse dal mercato americano se le aziende produttrici dovessero rinunciare all’export per motivi economici.

Eppure, non mancano aspetti incoraggianti. I fondatori più giovani si dimostrano pronti ad adattarsi, persino a cambiare paese pur di rimanere competitivi. Inoltre, questa fase di incertezza potrebbe fungere da stimolo per l’Europa, che ha l’occasione di accelerare sulla costruzione di una propria sovranità tecnologica e industriale. Tuttavia, molto dipenderà dall’evoluzione macroeconomica: un’eventuale recessione avrebbe effetti a cascata, riducendo le valutazioni delle startup, ostacolando gli investimenti e rallentando le possibilità di crescita.

A rischio le startup europee registrate in Delaware

I dazi reciproci tra Stati Uniti e paesi europei potrebbero presto ripercuotersi direttamente sull’ecosistema startup. Dalle licenze SaaS alla pubblicità su Meta. Gianmarco Carnovale, presidente di Roma Startup, un incubatore della capitale, analizza i possibili scenari in caso di dazi sui servizi digitali americani.

“Il vero punto critico riguarda i servizi online statunitensi esportati verso l’Europa. Se Bruxelles dovesse decidere di rispondere con dazi alle politiche protezionistiche americane, i primi a farne le spese sarebbero i colossi del digitale: licenze SaaS, servizi cloud come Aws e Azure, o piattaforme di pagamento come Stripe – spiega Carnovale a Wired -. Questi strumenti vedrebbero un aumento dei prezzi, penalizzando così le startup che li utilizzano quotidianamente: praticamente tutte. Anche gli investimenti pubblicitari delle startup su Meta e Google potrebbero risentirne: in particolare, per quelle che operano esclusivamente online, aumenterebbe il costo per acquisizione di contatto (Cpa), con un impatto diretto sui budget destinati al marketing. Un ulteriore effetto collaterale riguarderebbe le startup italiane (ed europee) che hanno costituito la sede legale negli Stati Uniti, in particolare nel Delaware, per ragioni legate all’investibilità. Essendo considerate a tutti gli effetti società americane, si troverebbero penalizzate nella vendita dei propri servizi in Europa, in caso di dazi sui servizi digitali. Tuttavia, in questo contesto di tensione e incertezza, emerge anche una possibile opportunità: quella di spingere l’Europa a diventare finalmente un player tecnologico di primo livello, dotandosi di una strategia industriale autonoma e riducendo la dipendenza dai servizi esteri”.

Le nuove generazioni di imprenditori pronte a lasciare l’Italia

Anche le startup italiane che sviluppano soluzioni di intelligenza artificiale potrebbero subire contraccolpi indiretti. Nazzareno Mengoni, fondatore di Startupbootcamp Italy (un acceleratore milanese), riflette sulle scelte degli imprenditori più giovani e sui rischi per l’export tecnologico.



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