Così il part time involontario discrimina il lavoro femminile

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Nonostante i progressi degli ultimi decenni, il divario di genere continua a segnare profondamente il mondo del lavoro e dell’imprenditoria del Nord Est. Le donne si trovano ancora a fronteggiare un percorso ad ostacoli: equilibrismo difficile tra carriera e famiglia, accesso limitato ai finanziamenti per le loro imprese e una concentrazione in settori che offrono retribuzioni più basse.

Il confronto

Il Nord Est italiano mostra luci e ombre: con un tasso di occupazione femminile al 68,4%, la macroarea si posiziona meglio rispetto alla media nazionale, ma resta considerevolmente distante dai livelli europei. L’Estonia svetta con l’80,9% di donne occupate, seguita dalla Svezia con l’80,2%: un abisso di oltre 12 punti percentuali rispetto alla realtà nordestina.

Tra le regioni, l’Alto Adige si distingue con il 74,2%, un dato vicino a quello di Paesi come la Repubblica Ceca (74,5%) e l’Irlanda (74,3%), ma ancora 6,7 punti sotto l’Estonia. Il Veneto (67,4%), il Friuli Venezia Giulia (66,7%) e l’Emilia Romagna (69,1%) mostrano ritardi più marcati, con una distanza che varia tra 11,8 e 14,2 punti percentuali rispetto ai vertici europei.

Il divario di genere nel mercato del lavoro non si limita solo ai tassi di occupazione, ma si estende profondamente alla qualità dell’impiego. In Italia, il lavoro part-time rappresenta una realtà che caratterizza in modo sproporzionato l’occupazione femminile, configurandosi spesso non come una libera scelta, ma come l’unica opzione praticabile. Questa condizione ha ripercussioni dirette e significative: limita l’indipendenza economica, comprime le prospettive di carriera e cristallizza disuguaglianze di lungo periodo, come pensioni più basse e maggiore vulnerabilità economica.


Le regioni settentrionali italiane continuano a registrare un divario significativo rispetto ai Paesi nordeuropei più virtuosi in termini di occupazione femminile a tempo pieno. In Estonia, ad esempio, il rapporto tra donne e uomini impiegati in part time è di due a uno, il valore più basso in Europa, seguita da Svezia (2,4) e Danimarca (2,5).

Le differenze a Nord Est

Nel Nord Est si osserva un panorama disomogeneo: l’Alto Adige presenta un rapporto di sette donne per ogni uomo in part time, un valore molto simile a quello veneto che è pari a 6,9. Il Friuli Venezia Giulia si attesta a 5,3, mentre il Trentino registra un valore più elevato, con 8,3 donne impiegate a tempo parziale per ogni lavoratore maschio nella stessa condizione.

Sebbene il lavoro part time possa offrire maggiore flessibilità per conciliare vita professionale e familiare, per molte donne rappresenta una trappola più che un’opportunità. Il part time involontario si riferisce a una condizione lavorativa in cui una persona è impiegata con un orario ridotto (inferiore all’orario full time standard) non per propria scelta, ma perché non riesce a trovare un’occupazione a tempo pieno, pur desiderandola.

Nel Nord Est, il tasso di part time involontario femminile raggiunge l’11,7%, a fronte di appena il 2,8% per gli uomini. Il divario più elevato si registra in Trentino (12,7% vs 2,6%) e in Veneto (11,9% vs 2,5%). Il Friuli Venezia Giulia mostra tassi simili al Veneto (11,9% vs 4%), mentre l’Alto Adige registra livelli più bassi (5,7% vs. 2,1%).

Gli impatti economici

Questo sottoutilizzo della forza lavoro femminile si traduce in una perdita annua di oltre 204 milioni di ore lavorative nel Nord Est, contro le 59 milioni perse dagli uomini. L’impatto economico è significativo: le regioni che non riescono a garantire opportunità di lavoro a tempo pieno per le donne rischiano di perdere competitività, limitando la crescita economica e favorendo la fuga di talenti verso aree con condizioni occupazionali più favorevoli.

L’imprenditoria femminile rappresenta un segnale di cambiamento nel panorama economico italiano, costituendo il 22,2% del tessuto imprenditoriale nazionale con circa 1,3 milioni di attività, secondo i dati Infocamere 2024 elaborati da Unioncamere Veneto. Rispetto all’imprenditoria maschile, queste imprese mostrano una maggiore concentrazione nei servizi (67,5% contro il 56% di quelle maschili) e maggiore incidenza di imprenditrici under 35 (10,6% contro il 7,9%). Tuttavia, affrontano sfide significative in termini di sostenibilità: dopo tre anni sopravvive l’82% delle imprese femminili (contro l’85,3% di quelle maschili) e dopo cinque anni solo il 72,1% (contro il 77%).

Le imprese femminili

Pur essendo meno presenti nei settori artigiani, cooperativi e innovativi, le imprese femminili mostrano una forte vocazione nei servizi alla persona, nel sistema moda e nella sanità, delineando un modello imprenditoriale con peculiarità specifiche che riflette ancora le disparità strutturali del mercato del lavoro italiano. In un contesto lavorativo sempre più orientato alla sostenibilità sociale, la conciliazione tra vita professionale e personale è diventata un elemento centrale nelle strategie aziendali e rappresenta una sfida per le imprese del Nord Est. Strumenti come la flessibilità oraria, lo smart working, i servizi di welfare aziendale e il supporto alla genitorialità rivestono un ruolo determinante nel migliorare il benessere dei lavoratori e, parallelamente, nell’incrementare la produttività e l’attrattività delle imprese nordestine.



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