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A poco più di un anno di distanza dalla pubblicazione della prima edizione, il Consiglio nazionale dei commercialisti aggiorna il documento “Sostenibilità, governance e finanza dell’impresa: impatto degli ESG con particolare riferimento alle PMI”, alla luce dei recenti sviluppi normativi e di prassi e delle proposte contenute nell’Omnibus simplification package on sustainability presentato dalla Commissione europea.
Obiettivo del documento, elaborato dalla Commissione di studio “Governance e Finanza” e diffuso ieri, è approfondire la relazione tra i sustainability issues e la governance delle aziende, nell’ottica di ripensare e migliorare gli adeguati assetti “organizzativi, amministrativi e contabili” (OAC) e potenziare le connessioni dell’organizzazione con i suoi interlocutori, soprattutto col sistema bancario e creditizio.
Partendo dalla considerazione della centralità delle politiche di sostenibilità nella creazione di valore per l’impresa, l’analisi si focalizza sullo stretto legame tra i principi di corretta amministrazione e i fattori environmental, social, governance (ESG) nel contesto degli attuali processi di sviluppo europeo e nazionale nella sustainability economics e di digitalizzazione dell’operatività aziendale, con particolare riferimento alle realtà aziendali di medie e piccole dimensioni.
Il documento è strutturato in tre “Parti”, dedicate al contesto concettuale e normativo, alla governance aziendale e alla finanza d’impresa, e si apre con una presentazione firmata da Elbano de Nuccio e Gianluca Galletti, rispettivamente Presidente del CNDCEC e Consigliere nazionale delegato alla materia, e una prefazione di Paolo Vernero, Presidente delle Commissione che ha curato il testo.
Il focus è sul contesto internazionale e, in particolare, sul pacchetto di norme contenute nell’Omnibus simplification package on sustainability, che contiene una serie di proposte di semplificazione con cui vengono sostanzialmente allentate le maglie delle attuali norme sulla sostenibilità.
In particolare, si prevede di limitare l’obbligo di effettuare la rendicontazione di sostenibilità solo alle aziende con almeno mille dipendenti e più di 50 milioni di euro di fatturato o un attivo patrimoniale sopra i 25 milioni (questo ridurrebbe di circa l’80% la platea di aziende interessate) e di posticipare di due anni (2028) l’entrata in vigore degli obblighi di rendicontazione per le aziende attualmente soggette alla CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive).
Di qui, l’allarme dei commercialisti. “Siamo convinti – sottolineano de Nuccio e Galletti – delle opportunità offerte da una rimodulazione e da una semplificazione normativa ma, allo stesso tempo, crediamo occorra rimarcare l’importanza di spingere verso l’integrazione volontaria della sostenibilità nei processi aziendali, per non farci trovare impreparati – e guardiamo tanto alle imprese quanto ai loro consulenti – quando si manifestino gli effetti di rischi ESG ben visibili, ad esempio, nelle possibili conseguenze generate dalla diffusione di politiche commerciali protezionistiche con relative pressioni inflazionistiche e acredini nelle relazioni internazionali”.
“Del resto – aggiungono – non è un caso che il mondo bancario non sembri volersi privare delle informazioni ESG per la valutazione della posizione creditizia delle imprese, considerando la relazione tra sostenibilità economico-produttiva e continuità aziendale, tra gestione dei rischi ESG e capacità di creare valore nel lungo termine. Da questo punto di vista, sembra condivisibile la scelta di confermare nell’ordinamento europeo il principio della doppia materialità, scelta peraltro condivisa, sul fronte della sustainability disclosure obbligatoria, anche in contesti tanto lontani dal nostro, fisicamente e culturalmente, come la Cina”.
Dello stesso avviso Vernero, secondo cui “se, da un lato, la semplificazione può migliorare l’efficienza e ridurre gli oneri burocratici, a fronte dell’attuale corpo normativo, imponente ed effettivamente gravoso, dall’altro, esiste il rischio concreto che una eccessiva deregolamentazione possa minare i progressi raggiunti finora in ambito di sostenibilità e, conseguentemente, innescare un effetto più ampio di incertezza normativa”.
Per Vernero è “oggettivamente inopportuno rinnegare oggi l’importanza assunta dalla sostenibilità: le società più competitive sul mercato effettuano disclosure di sostenibilità non tanto e non solo per «fare la rendicontazione», ma interpretando la stessa quale output finale di un processo ben più ampio, soltanto in parte collegato alla compliance normativa in quanto tale, e quale utile spunto strategico per gestire rischi e opportunità, in un’ottica di creazione del valore e di presidio della sua continuità nel tempo. In sostanza, al di là delle scelte del legislatore rispetto a un’applicazione più o meno soft della compliance ESG, esistono motori propulsori che spingono la sostenibilità e questi, oltre ad avere un certo potere di condizionamento, rappresentano nel loro insieme gran parte di ciò che comunemente chiamiamo mercato”.
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