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Non si parlano. La tensione tra Stati Uniti e Cina è tornata a livelli altissimi, ma non c’è dialogo diretto tra il presidente americano Donald Trump e il leader cinese Xi Jinping. Da Washington trapela che sarebbe Zhongnanhai, quartier generale del potere cinese, a dover fare il primo passo. Pechino, invece, risponde con un silenzio eloquente: Xi domani parte per un tour in Vietnam, Malaysia e Indonesia, Paesi minacciati dai nuovi superdazi americani perché sospettati di fare da canale all’export cinese verso gli Usa.

Poker globale tra Trump e Xi, in palio il nuovo ordine mondiale

Il confronto è appena cominciato, ma la posta in gioco è già centinaia di miliardi di dollari in scambi commerciali e una potenziale ridefinizione degli equilibri globali. Xi ha minacciato controdazi fino al 125%, anche se Pechino continua a minimizzare l’impatto economico diretto della misura, definendo lo scontro «un gioco di numeri». Ma la realtà è che la Cina ha registrato un surplus commerciale da mille miliardi di dollari nel 2024, un terzo dei quali proprio con gli Stati Uniti.

Gli assi di Xi: portafogli, agricoltura e cinema

Il primo bersaglio di Pechino potrebbe essere il portafogli degli americani: l’industria USA non produce beni di largo consumo come smartphone, giocattoli e abbigliamento. Dazi al 125% farebbero esplodere i prezzi e riaccenderebbero l’inflazione, colpendo proprio gli elettori di Trump. Tanto che la Casa Bianca ha già escluso smartphone e computerdalla nuova ondata di dazi, cercando di limitare i danni.

Un altro settore vulnerabile è l’agricoltura del Midwest, terzo esportatore verso la Cina: soia, grano e carne rischiano di subire la rappresaglia. Xi guarda già al Brasile come alternativa e a maggio accoglierà il presidente Lula a Pechino. Persino Hollywood è nel mirino, con minacce di ridurre l’import di film statunitensi.

Tecnologie, terre rare e titoli Usa: le carte sul tavolo

Le mosse strategiche non si fermano ai beni di consumo. Xi può giocare la carta delle terre rare, fondamentali per l’industria tech americana, o svalutare lo yuan per compensare l’impatto dei dazi. Ma soprattutto, può liquidare parte degli 800 miliardi di dollari in titoli del Tesoro Usa in mano cinese, destabilizzando i mercati finanziari globali.

Consumi interni, il tallone d’Achille cinese

Nonostante la forza industriale, la Cina ha una debolezza: i consumi interni sono ancora troppo bassi. Rappresentano solo il 56% del Pil, ben lontani dall’81% degli Stati Uniti. Le famiglie cinesi risparmiano il 32% del reddito, e la disoccupazione giovanile resta elevata. Per questo il premier Li Qiang ha rilanciato la parola chiave: “Nei Xu”, cioè domanda interna. Salari, pensioni e sanità pubblica sono al centro delle nuove riforme per spingere la spesa e costruire un mercato autosufficiente.

L’Europa osserva (divisa), ma è a rischio

In questo scenario, l’Unione Europea appare frammentata, pur essendo coinvolta direttamente. A luglio si terrà un vertice a Pechino: il rischio per Bruxelles è diventare il collettore del surplus cinese, scaricato sugli europei per evitare i dazi americani.

Xi e la sfida patriottica dell’hi-tech

Sul fronte tecnologico, la Cina è ben posizionata: Byd domina nelle auto elettriche, Catl nelle batterie (con impianti in Europa), DeepSeek nell’intelligenza artificiale. Xi ha riunito i big della tech nazionale, riabilitato Jack Ma e chiesto innovazione, patriottismo e resilienza contro gli Usa.

La guerra commerciale tra Trump e Xi è ormai aperta, e dietro le apparenze diplomatiche si combatte una sfida sistemica. Nessuno fa il primo passo, ma la lunga marcia è già cominciata.

 



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