Usa: allarme scienziati, cervelli in fuga con tagli a ricerca

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Non solo i possibili effetti dei dazi: le conseguenze profonde dell’azione dell’amministrazione Trump potrebbero farsi sentire soprattutto sulla competitività Usa nel campo dell’innovazione e nella capacità della superpotenza di attrarre cervelli da mezzo mondo. E’ quanto emerge da un nuovo editoriale della prestigiosa rivista Science firmato da Stefan Raff-Heinen e Fiona E. Murray della MIT Sloan School of Management, per i quali i tagli ai fondi federali per la ricerca “minacciano il motore imprenditoriale alla fonte: i laboratori universitari. Senza un sostegno federale duraturo il Paese rischia di perdere il suo vantaggio tecnologico, minacciando la competitività economica e la sicurezza nazionale”.
“Gli Stati Uniti – continuano gli autori – attraggono da tempo i migliori talenti in ingegneria e scienza, offrendo opportunità di eccellenza accademica e imprenditoriale, insieme a finanziamenti flessibili in fase iniziale tramite programmi governativi e universitari che si allineano alle esigenze di un progetto man mano che avanza attraverso traguardi tecnologici. È una seria preoccupazione che, con il calo del sostegno governativo, meno scienziati avranno le risorse per perseguire l’imprenditorialità, soffocando l’innovazione e invertendo la tendenza di dottori di ricerca e post-doc che entrano nelle startup”.
Una situazione che potrebbe spingere moltissimi ricercatori a trovare fortuna altrove o – se già negli States – a rientrare nei loro Paesi di origine come sottolineatodal ministro dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini che in occasione dell’evento Agenda Sud 2030 ha dichiarato che “Per quanto riguarda Università e ricerca, la guerra dei dazi sta avendo un effetto di ritorno. Ci sta facendo tornare scienziati, studiosi e dottori di ricerca. L’attuale amministrazione americana ha tagliato fondi per la ricerca, mentre noi stiamo investendo. Abbiamo stanziato 11 miliardi sulle infrastrutture di ricerca. Quindi stiamo assistendo a un fenomeno di ritorno, i ricercatori tornano in Italia perché sono finanziati”.
Oltre al nostro anche altri Paesi si stanno muovendo per cercare di accogliere questa possibile onda di studiosi ‘in fuga’. Stando ad un articolo sempre pubblicato su Science la Francia è stata tra i primi Paesi a muoversi per cercare di sfruttare l’onda in uscita di talenti dagli Usa. L’Università di Aix Marseille ha lanciato un’iniziativa all’inizio di questo mese chiamata Safe Place for Science, che investirà tra 10 e 15 milioni di euro per supportare una quindicina di ricercatori. L’offerta ha finora attirato più di 50 candidati, afferma un portavoce dell’università, e l’istituzione “ha già accolto un ricercatore” per una visita. Un’altra università francese, Paris-Saclay, ha dichiarato a Science che potrebbe estendere o lanciare nuove iniziative per supportare i ricercatori statunitensi. E il ministro della Ricerca francese ha recentemente inviato una lettera alle università francesi chiedendo “proposte concrete” su come attirare ricercatori dagli Stati Uniti, secondo quanto riportato da France-Presse. Le offerte in altri Paesi sono state ancora più dirette. Dopo che l’amministrazione Trump ha minacciato di interrompere 400 milioni di dollari di finanziamenti federali per la Columbia University, Yi Rao, neurobiologo della Università di Pechino, ha contattato i ricercatori dell’istituzione per offrire il suo aiuto. “Sono rimasto scioccato nell’apprendere della vasta cancellazione di sovvenzioni e contratti”, ha scritto in un’e-mail vista da Science, aggiungendo che “se un bravo scienziato desidera avere una posizione stabile per condurre ricerche scientifiche, non esiti a contattarmi”. All’Università di Losanna, l’oncologa Johanna Joyce, presidente eletta dell’Associazione europea per la ricerca sul cancro, afferma che le candidature spontanee al suo laboratorio da parte di scienziati statunitensi sono aumentate di cinque volte da gennaio. È chiaro, afferma, che “il futuro di così tanti scienziati negli Stati Uniti e in tutto il mondo è rapidamente diventato molto incerto”.
Alcuni esperti di politica sostengono che i governi nazionali dovrebbero fare di più per attrarre talenti stranieri. Danielle Cave, direttrice executive, strategy e research dell’Australian Strategic Policy Institute, ha spinto affinché l’Australia offra visti o permessi rapidi ai migliori scienziati statunitensi, un’idea che è stata discussa anche in Norvegia e in altri Paesi nelle ultime settimane: “Non capitalizzare la situazione – ha detto – sarebbe sprecare un’opportunità unica”. Opportunità confermata anche dai numeri. Secondo un sondaggio condotto da Nature, il 75% dei più di 1600 scienziati che hanno risposto alle domande della rivista sta valutando la possibilità di lasciare il Paese. La tendenza è particolarmente rilevante tra i ricercatori all’inizio della carriera. Dei 690 ricercatori post-laurea che hanno risposto al sondaggio, 548 stanno pensando di andarsene; 255 dei 340 studenti di dottorato coinvolti hanno manifestato la stessa intenzione. (AGI)
SCI/BAS





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