combustibili fossili, costruzioni e telecomunicazioni. Da dove viene il potere economico che separa l’Africa

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Ogni anno nel mese di marzo la rivista francofona Jeune Afrique stila una classifica delle 500 migliori imprese africane nei vari settori produttivi, esclusi quello finanziario ed assicurativo (per cui viene redatta una graduatoria separata). Anche la lista delle “Best 500” di quest’anno, riferita al 2023 e alla prima parte del 2024, si rivela un indicatore interessante di alcune tendenze in atto nel Continente africano, non sempre in linea con la narrativa prevalente sull’Africa. Come già evidenziato in una ricerca dalla società McKinsey, soltanto 345 imprese continentali superano il fatturato di un milione di dollari. L’Africa avrebbe bisogno di società di grandi dimensioni, in modo da poter impiegare la numerosa manodopera locale, offrire opportunità ai giovani africani, e contribuire in maniera decisiva alla propria crescita.

Comandano in tre

È poi significativo che oltre il 53% delle società elencate appartenga a tre soli grandi Paesi: Egitto (45), Sud Africa (137) e Nigeria (34), indice di uno sviluppo continentale diseguale e sbilanciato, che comporterà notevoli difficoltà pratiche quando sarà in gioco la finalizzazione dell’Accordo di libero scambio continentale, firmato da 53 Stati africani nel 2019 a Niamey (Niger).
Un altro dato rilevante è che, nel periodo considerato, il fatturato globale delle 500 migliori società considerate è minore del 3.1% rispetto all’anno prima: 736.8 miliardi di dollari, rispetto ai 759.6 miliardi dell’indice precedente, ciò che riporta il valore esaminato al livello del 2012. Quest’ ultima defaillance è dovuta ai tassi di interesse ancora elevati nel periodo in questione, alle turbolenze dei mercati, alla galoppante inflazione in molti Paesi africani, alla carenza di liquidità tipica del Continente, e ad altri ostacoli di varia natura, fra i quali la notevole quantità di conflitti e tensioni regionali e la crescente insicurezza in Africa.

Le compagnie

L’aspetto forse più sorprendente è che le società leader dell’Africa prosperano in ambiti alquanto tradizionali: prima di tutto in quello dei combustibili fossili, malgrado i continui richiami, anche nello stesso ambito africano, alla priorità della transizione energetica e dell’energia pulita. Nei primi dodici posti della classifica infatti troviamo compagnie come Sonatrach (Algeria), NNPC (Nigeria), Vivo Energy e Engen Petroleum (Sud Africa), Sonangol (Angola), le quali fanno dell’estrazione petrolifera e di gas dal sottosuolo il loro “core business”, in partnership coi grandi gruppi energetici internazionali.

I settori classici

Gli altri settori “classici”, in cui operano le società ai primi posti della lista sono quelli minerario (Ocp Marocco, Anglo American Platinum-South Africa); i trasporti (l’egiziana Suez Canal Authority, ancora non colpita, all’epoca, dalla forte riduzione dei traffici nel Canale dovuti agli attacchi degli Houthi; ed il gigante dell’aviotrasporto Ethiopian Airlines); le telecomunicazioni (le sudafricane Vodacom e Mtn); le catene commerciali (Shoprite Holdings e Spar Group, del Sud Africa); l’agribusiness (Bidcorp-South Africa); i servizi elettrici (Eskom-South Africa).
In totale, ben 73 imprese delle Best 500 sono società minerarie, a riprova che il settore è in grande espansione anche per il peso svolto dallo sfruttamento delle terre rare, e per la spasmodica attenzione degli Attori globali per l’acquisizione di diritti estrattivi; numerose sono situate in Burkina Faso, Mali, Guinea e Repubblica Democratica del Congo, nonostante i rispettivi Paesi non attraversino uno smagliante momento di forma, specialmente a causa degli attentati del terrorismo jihadista o delle gravi insorgenze politiche interne.
Inoltre, 44 imprese operano nel settore delle costruzioni, per i grandi processi di urbanizzazione in corso in Africa, e per l’incalzante sviluppo delle infrastrutture; 66 nell’agribusiness, a conferma del boom di un settore-chiave per la crescita continentale; 45 nelle telecomunicazioni, sempre più coinvolte nei processi di privatizzazione degli ex servizi pubblici di telefonia.
Risultano assenti da questa lista delle Best 500 le società dei piccoli Paesi della costa atlantica, come Benin, Togo, Liberia, Sierra Leone, Gambia, Guinea Bissau; quelle di Paesi insulari come Sao Tomè e Principe, Seychelles, Comore; e, con una certa sorpresa, di Stati di un certo rilievo economico come Libia, Repubblica del Congo, Gibuti e Rwanda .
Stupisce di meno, invece, la mancanza dalla classifica di imprese di Stati come Somalia, Eritrea, Sudan, Sud Sudan, Ciad, Burundi e Repubblica Centrafricana, dove le fragilità politiche interne comportano ricadute economiche evidenti. Sommando gli Stati africani che non danno paternità alle 500 società leader, a cui si aggiunge il “piccolo” Lesotho, si ottiene la poco lusinghiera cifra di 21: dato di per sè rivelatore di quanto ci sia ancora da lavorare per una crescita economica bilanciata e diffusa del Continente, a beneficio prima di tutto delle sue popolazioni.

Autore

Diplomatico di carriera e scrittore





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