Autorizzazione Europea alle norme fiscali della riforma del Terzo settore. E adesso?

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Lo scorso 8 marzo il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha comunicato che “la Commissione Europea ha dato il via libera alle norme fiscali in favore del Terzo Settore”.

In particolare, nella comfort letter inviata dalla DG Concorrenza della Commissione UE al Ministero, viene confermata l’applicabilità delle norme in materia di imposte sui redditi degli enti del Terzo settore (articolo 79 del dlgs 117/2017) e dell’esenzione da Ires per gli utili delle imprese sociali accantonati a riserva indivisibile (articolo 18 del dlgs 112/2017).

Non sono invece ancora applicabili le norme sulle agevolazioni per gli investimenti in imprese sociali di nuova costituzione (articolo 18, commi 3 e 4 dlgs 112/2017) e le misure di finanza sociale per gli enti del Terzo settore (articolo 77 dlgs 117/2017) per le quali si attende ancora il parere positivo.

Il viceministro on. Bellucci, nel comunicato citato, afferma che dunque, “dal primo gennaio 2026 entrerà finalmente in vigore un regime fiscale ad hoc”.

Ciò sta altresì a significare che gli enti che hanno mantenuto la qualifica di Onlus avranno tempo fino al 31 marzo 2026 per adeguare i propri statuti, optando per la disciplina enti del Terzo settore (Ets) o impresa sociale, e procedere all’iscrizione al registro unico nazionale del Terzo settore (Runts).

Si tratta senza dubbio di una buona notizia. La certezza circa l’entrata in vigore delle norme dà agli enti un timing per mettere in atto i comportamenti necessari all’attuazione delle stesse.

Scopo di questo testo è però quello di evidenziare gli aspetti rispetto ai quali l’entrata in vigore della parte fiscale della riforma necessita di chiarimenti o di interventi legislativi.

Le questioni interpretative aperte

Per quanto riguarda la fiscalità diretta degli Ets, diventa urgente un intervento interpretativo da parte dell’Agenzia delle entrate che permetta agli enti di impostare correttamente la contabilità al fine di evidenziare correttamente il rapporto di cui all’articolo 79 comma 2-bis, ovvero che “i ricavi non superino di oltre il 6 per cento i relativi costi per ciascun periodo d’imposta e per non oltre tre periodi d’imposta consecutivi.

Altro aspetto che necessità di un approfondimento è la portata di quanto contenuto nel comma 5-bis circa la rilevanza ai fini della non commercialità dell’ente del “valore normale delle cessioni o prestazioni afferenti le attività svolte con modalità non commerciali”.

Le questioni da chiarire sono molte altre e si auspica che il loro elenco possa essere affrontato in contesti di dialogo e confronto tra le istituzioni preposte e i rappresentanti del Terzo settore, in tempi brevi.

Le norme che ancora si attendono

Anche ai fini di permettere agli enti che ancora non lo hanno fatto – quali una parte delle Onlus– di decidere per l’assunzione della qualifica di Ets o di impresa sociale, delle norme devono essere varate.

Partendo dall’esenzione Iva, ricordiamo che il codice del Terzo settore ha previsto che le prestazioni che il dpr 633/72 riconduce ad esenzione se rese, tra gli altri, dalle Onlus, siano riferite, con l’entrata in vigore dello stesso codice, agli enti di Terzo settore non commerciali.

Questa previsione ha portato l’Agenzia delle entrate a pronunciarsi per l’imponibilità ad aliquota ordinaria (22%) qualora le attività assistenziali siano rese da Ets commerciali e da imprese sociali.

Peraltro, stante la retroattività della perdita di qualifica di Ets non commerciale, vi sarebbe l’ulteriore onere della necessità di applicazione dell’Iva al 22% dall’inizio del periodo di imposta in cui si è persa la qualifica di Ets non commerciale.

Il Forum Nazionale del Terzo Settore ha già in più occasioni chiesto che questa norma venga modificata, con l’estensione dell’esenzione a tutti gli Ets – commerciali e non. Ha inoltre chiesto che, come già previsto per le cooperative sociali in relazione ad alcune attività, anche alle imprese sociali, per le stesse attività, sia applicabile l’Iva del 5%.

Passando all’Irap, gli enti del Terzo settore non commerciali non hanno diritto alla deduzione per il personale assunto a tempo indeterminato, prevista invece per le imprese.  Con la conseguente anomalia che vede le imprese avere un trattamento di maggior favore rispetto agli enti non commerciali. Anche in questo caso è stato chiesto un intervento e sono state presentate proposte.

Ricordiamo, infine, che molti enti vedranno mutata la propria qualifica – da ente commerciale a non commerciale, o viceversa – continuando a svolgere le medesime attività con le stesse modalità. Ciò in quanto la definizione di commercialità cambia radicalmente con la riforma. Si pensi ad enti – come enti di formazione o scuole paritarie – attualmente considerati commerciali che, stante il probabile non superamento del parametro del “6%” si troveranno ad essere non commerciali. In presenza di immobili di proprietà e della necessità di farli transitare dalla sfera commerciale a quella non commerciale, vedrebbero tassata una plusvalenza, evidentemente non realizzata stante la continuazione dell’attività nelle modalità consuete.

Questa situazione chiede un intervento legislativo, pena l’impossibilità di molti di questi enti a continuare l’attività.

Resta poi la questione molte volte affrontata, oggetto di proroghe e in attesa di una soluzione definitiva, dell’attrazione all’ambito Iva delle prestazioni rese ai soci nell’ambito di attività chiaramente partecipative e mutuali, che complicherebbe assai la vita a realtà normalmente condotte da volontari, in molti casi portandoli alla chiusura, privando così il nostro Paese di contesti di partecipazione, responsabilità e gratuità di cui ci pare ci sia oggi più che mai molto bisogno.

Su questo importantissimo tema sono state avanzate proposte e vi è un dialogo aperto con le istituzioni competenti che si auspica porti buoni frutti.



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