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Articolo a cura di Alessandro Peron, per Vie e Trasporti.

Il settore dell’autotrasporto torna ciclicamente al centro del dibattito pubblico per i fondi a suo sostegno. Tra tagli, minacce di fermi e pole miche, spesso si perde di vista la reale natura e l’effettivo utilizzo di questi contributi. È un tema complesso, che tocca interessi consolidati e di verse sensibilità, ma fare chiarezza è fondamentale per formarsi un’opinione basata su fatti e non su stereotipi.

I fondi per l’autotrasporto si dividono principalmente in due categorie: il recupero delle accise sul gasolio e il fondo da 240 milioni di euro per iniziative specifiche.

Il recupero delle accise, spesso frainteso, non è un incentivo riservato solo al trasporto conto terzi, ma coinvolge tutto il settore, conto proprio incluso, per veicoli con massa superiore a 7,5 tonnellate. Prevede un’accisa agevolata di 0,403 euro/litro rispetto allo standard di 0,617 euro/litro, per mantenere competitivi i veicoli pe santi italiani rispetto a quelli europei, che spesso godono di accise molto più contenute. Questa misura evita distorsioni di mercato che porterebbero le aziende a fare rifornimento all’estero o a delocalizzare. Il costo per lo Stato è stimato intorno al miliardo di euro annuo. Tuttavia, il beneficio economico viene spesso trasferito ai clienti tramite sconti che gli autotrasportatori anticipano e recuperano solo dopo 120 giorni.

Come sono ripartiti i 240 milioni

Il fondo di 240 milioni di euro del Ministero dei Trasporti, concordato con le associazioni di categoria, presenta di verse criticità nella ripartizione. Solo 5 milioni sono destinati alla formazione, un importo irrisorio rispetto alla difficoltà di reperire personale qualificato e alla necessità di una crescita culturale del settore. Le richieste superano di quattro volte i fondi disponibili nonostante i contributi vengano erogati esclusivamente tramite le società di formazione delle associazioni stesse.

Altri 25 milioni vanno alla sostituzione dei veicoli con mezzi più sicuri ed ecologici, ma il sistema del ‘click day’ premia la velocità nel cliccare più che il reale bisogno delle imprese. Il fondo si esaurisce in pochi secondi, lasciando molte aziende escluse nonostante la necessità di rinnovare il parco mezzi obsoleto. Le spese non documentate assorbono ulteriori 70 milioni di euro.

Questa misura sostiene le piccole imprese artigiane, spesso schiacciate dai grandi vettori che le trattano come ‘tassisti a basso costo’. Non è un vero incentivo, ma un ristoro che permette a molte aziende di sopravvivere in un mercato dove la remunerazione del lavoro è al limite della sostenibilità.

La voce più rilevante, 140 milioni di euro, è destinata alla riduzione dei pedaggi autostradali. Il meccanismo di assegnazione è complesso: in teoria, più utilizzi l’autostrada, più sei incentivato. Tuttavia, nella pratica, una rete di consorzi, spesso legati alle associazioni e iscritti all’Albo degli autotrasportatori senza svolgere attività di trasporto, acquista pedaggi e li rivende alle imprese associate trattenendo un margine. Questo sistema permette anche a imprese estere di beneficiare degli sconti, riducendo i vantaggi per quelle italiane. Alla fine, solo una parte delle risorse raggiunge i veri destinatari. Il quadro generale è quello di un settore in cui i fondi pubblici rappresentano una risorsa essenziale, ma anche un’opportunità persa. Mentre le imprese faticano a mantenere margini di profitto in un contesto sempre più competitivo, i fondi rischiano di diventare un mero strumento di sopravvivenza, anziché una leva strategica per il reale sviluppo del settore. “Non possiamo pretendere che le cose cambino se facciamo sempre le stesse cose”. Parole di Albert Einstein…

 



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