Dalle tasse sul carbonio ai “report verdi”, primo segnale di svolta per le imprese

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L’ideologia del Green Deal europeo ha iniziato a fare i conti con il principio di realtà. Valdis Dombrovskis, commissario all’Economia e alla semplificazione, ha detto che «non si può competere con una mano legata dietro la schiena». Cambio di rotta non da poco. Nella passata legislatura, quando era vicepresidente, con Franz Timmermans al suo fianco invitava le imprese «a pensare verde». Ma è stato questo pensare verde, senza troppo rifletterci su, a fare neri diversi settori della manifattura europea, a cominciare dall’auto. La Commissione ha iniziato ad invertire la marcia. Lo ha fatto alleggerendo e rinviando l’entrata in vigore di alcune misure molto contestate dalle imprese. Direttive dai nomi che ricordato i robot di Guerre Stellari: Csrd, Cs3d, Csddd, Cbam, ma con impatti pesantissimi sulle imprese. Come per esempio l’obbligo di una due diligence, di una verifica, su tutta la catena globale di fornitori per controllare il rispetto delle normative in tema di diritti umani e degrado ambientale, con la minaccia di sanzioni fino al 5 per cento del fatturato globale per chi non si fosse adeguato. Un onere sproporzionato, contro il quale hanno protestato un po’ tutti, non solo le imprese manifatturiere, persino le banche. Con il provvedimento “omnibus” adottato ieri, la Commissione ha rinviato di un anno l’entrata in vigore della direttiva, posticipandola al 2027. Ma soprattutto ha stabilito che sarà necessario richiedere una “due diligence” completa a tutta la catena del valore, oltre dunque al partner commerciale diretto, solo nei casi in cui l’azienda abbia informazioni plausibili che si sono verificati o potrebbero verificarsi impatti negativi. Le verifiche, inoltre, andranno fatte ogni cinque anni e non ogni anno.

L’intervento

Un altro intervento riguarda i “dazi sul carbonio”, la tassa applicata ai prodotti inquinanti importati in Europa. Un’imposta facilmente eludibile, perché i Paesi produttori potrebbero differenziare gli impianti per l’export europeo dagli altri. Ma soprattutto un’imposta che costituisce un incentivo a spostare parti della produzione in Paesi terzi. Interi pezzi della manifattura italiana, come la ceramica, sono considerati a rischio delocalizzazione. La misura approvata prevede una esenzione per le compagnie che importano meno di 50 milioni di tonnellate all’anno di acciaio, cemento, alluminio, fertilizzanti. Con questa soglia, secondo le stime della stessa Commissione, sarebbero esentate il 90 per cento delle aziende inizialmente interessate dalla direttiva. Un’altra semplificazione riguarda gli obblighi di rendicontazione “verde” per le aziende. Il perimetro delle imprese obbligate a predisporli sarà ridotto dell’80 per cento, introducendo un tetto di mille dipendenti oltre il quale scatterà.Tutte queste semplificazioni faranno risparmiare alle imprese, sempre secondo le stime della Commissione, 6,3 miliardi.La partita, però, è appena cominciata. Tra qualche giorno Bruxelles alzerà il velo sul settore auto, quello economicamente più impattato dall’ideologia verde. Sarà la prova del nove per capire se davvero l’Europa ha cambiato rotta.

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