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Due mesi fa l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera) aveva stimato che nel primo trimestre del 2025 la bolletta elettrica per il ’cliente tipo’ vulnerabile servito in Maggior Tutela sarebbe aumentata del 18,2%. Dopo un lungo momento di distrazione martedì prossimo 25 febbraio dovrebbe arrivare sul tavolo del consiglio dei ministri un provvedimento da tre miliardi di euro per limitare l’impatto del caro-bollette per alcune limitate categorie sociali definite «vulnerabili».
Le risorse non erano state ancora trovate ieri sera anche se dal governo hanno tenuto a fare sapere che l’attività ferve tra il ministero dell’economia e quello dell’ambiente. Secondo il ministro dell’ambiente Gilberto Pichetto Fratin la cifra da trovare è di tre miliardi, una parte della quale (1,3 miliardi) dovrebbe andare ai consumatori, il resto alle imprese che da tempo stanno reclamando un intervento sui costi dell’energia che metterebbero a rischio le loro attività. Per finanziare il bonus in particolare alle piccole e medie imprese la viceministra all’ambiente Vannia Gava ha proposto di destinare i proventi delle aste Ets per l’estensione dell’Energy release, un meccanismo per lo sviluppo di capacità rinnovabile da parte delle imprese energivore.
Per i consumatori «vulnerabili» l’intervento dovrebbe essere sull’Isee l’indicatore che permette di misurare la condizione economica delle famiglie su cui valutare l’aiuto. La platea a cui applicare lo sconto annunciato dal ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti la settimana scorsa dovrebbe essere quella che ha un reddito fino a 15mila euro. Oggi è a 9.530 euro per famiglie con massimo 3 figli a carico, 20 mila euro quelle numerose con almeno 4 figli a carico. Attualmente il sostegno è concesso per 12 mesi, su una sola fornitura per ogni tipo di servizio (elettrico, gas e idrico. Per il 2025 il bonus elettrico annuo prevede 167,90 euro per i nuclei da 1-2 componenti a salire fino a 240,90 euro per le famiglie numerose con oltre 4 componenti.
Il «Decreto bollette» dovrebbe anche contenere l’annullamento del differenziale tra il costo del gas sul mercato di riferimento europeo (l’indice Ttf della Borsa di Amsterdam) e quello sul mercato all’ingrosso italiano (l’indice Psv). Ci potrebbe essere una norma sul rinnovo o il prolungamento delle concessioni idroelettriche, un intervento per ridurre gli oneri per la distribuzione del gas naturale e una sull’estensione dei soggetti che possono aderire alle Comunità energetiche rinnovabili, istituti pubblici di beneficenza e assistenza.
«È un’aspirina – ha osservato Mario Turco dei Cinque Stelle – da Confindustria alla Cgia di Mestre, l’aggravio dei costi è stato stimato come minimo tra i 10 e i 15 miliardi nel 2025, solo per le imprese». Per le associazioni dei consumatori (Codacons o Aduc) non convince la durata dei provvedimenti che dovrebbero restare in vigore per sei mesi. Il problema del «caro-energia» è strutturale e dipende dalla speculazione finanziaria sui prezzi delle materie prime o dagli eventi bellici (la guerra russo ucraina) che ha spinto l’Europa, e l’Italia, a rinunciare al gas russo a buon mercato. Misure a tempo determinato sono inutili e dissanguano le casse pubbliche, gli utenti e i loro salari già insufficienti.
Servirebbe cambiare i mercati finanziari. L’obiettivo non rientra tra i progetti della Commissione Ue. Mercoledì 26, il giorno dopo il decreto italiano, Bruxelles presenterà un «Piano d’azione per l’energia a prezzi accessibili».
Pichetto Fratin ha ipotizzato che, dopo la spartizione dell’Ucraina tra Stati Uniti e Russia, si potrà «tornare al gas russo». L’ipotesi non è esclusa dai partiti come Afd in Germania e ieri ha sollevato polemiche. Il voltafaccia sarebbe clamoroso, ma rientra nel cinismo del capitalismo fossile.
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