Gli imprenditori non vanno più in banca, ma si autofinanziano

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Negli ultimi quindici anni si supponeva che fossero state le banche ad aver chiuso i rubinetti del credito alle aziende italiane, invece, sembra che sia avvenuto l’esatto contrario. Sono gli imprenditori che avrebbero deciso di non rivolgersi più agli istituti di credito, risolvendo il cronico problema della mancanza di liquidità attraverso il ricorso all’autofinanziamento. In che modo? Apportando capitali propri e di soci o di terzi attraverso il mercato dei capitali e l’azionariato diffuso. A sostegno di questa chiave di lettura, segnala l’ufficio studi della Cgia di Mestre, anche la decisa diminuzione della domanda di credito avvenuta in questi anni da parte delle imprese, poiché, a seguito anche dei buoni risultati economici ottenuti, molte attività rimaste sul mercato hanno aumentato i risparmi e conseguentemente il loro utilizzo per far fronte alle spese correnti e agli investimenti. La tendenza macroeconomica appena delineata non ha coinvolto, però, indistintamente tutte le realtà produttive e commerciali del Paese. Per molte microimprese, alla contrazione dei prestiti non è seguita alcuna forma di autofinanziamento, bensì un progressivo deterioramento economico-finanziario che le avrebbe fatte scivolare nell’area grigia dell’insolvenza o, peggio, a rivolgersi al mercato del credito illegale. A fine dicembre del 2011 (inizio della crisi dei debiti sovrani), i prestiti bancari alle imprese italiane ammontavano a 995 miliardi di euro, verso la fine del 2024, invece, la quota è scesa a 666 (-329 miliardi di euro pari a una contrazione del 33 per cento). Per contro, nello stesso arco temporale i depositi bancari delle aziende sono passati da 219 miliardi a 519 (+300 miliardi pari a un incremento del 137 per cento). La contrazione del credito alle attività economiche è riconducibile alla combinazione di più fattori e in aggiunta a quelli richiamati più sopra vanno aggiunte le importanti trasformazioni registrate dal sistema bancario e imposte dalla Banca Centrale Europea che, a seguito delle crisi finanziarie avvenute in questi decenni, ha introdotto dei parametri molto stringenti nella valutazione del merito e del rischio di credito. Dopodiché, è utile ricordare che tutti gli istituti bancari sono stati costretti ad aumentare notevolmente il livello di patrimonializzazione, con misure che hanno indotto il sistema creditizio a razionalizzare i prestiti alle imprese meno insolventi.

Prestiti in calo nel centrosud. Tra il novembre 2011 (periodo di picco massimo dei prestiti erogati alle imprese) e lo stesso mese del 2024 (ultimo dato disponibile), la maggiore contrazione delle consistenze si è verificata nel Centro (-42,6 per cento) e nel Sud (-42,4 per cento). In termini assoluti, invece, la riduzione più importante ha interessato proprio quest’area geografica con un calo di 118,1 miliardi. A livello provinciale le flessioni più significative si sono verificate a Siena (-59,1 per cento), Savona (-58,9), Siracusa (-56,8), Novara (-53,8) e Rovigo (-52,4). Le uniche province che hanno ottenuto il segno più sono state Trieste (+1,4 per cento) e Bolzano (+1,5). Il dato medio nazionale è stato del -34,9 per cento.

In crescita nella Ue. Secondo i dati della Bce, tra il 2011 e il 2023 (ultimo anno in cui i dati sono disponibili per un confronto europeo), non tutti i paesi monitorati hanno subito una contrazione dei prestiti bancari alle imprese. Anzi. Il dato medio dell’area dell’euro, ad esempio, è stato pari al +4,3 per cento (+188,6 miliardi di euro), con picchi positivi, per i big, del +61,4 per cento in Francia e del +46 per cento in Germania che, in valore assoluto, possono contare su un’esposizione degli istituti di credito verso le attività economiche che, rispetto al nostro importo, a Parigi è più del doppio e a Berlino, invece, è leggermente inferiore al doppio. Tra le nazioni economicamente più importanti solo la Spagna ha registrato una flessione superiore alla nostra. Se in Italia la riduzione è stata del 34,9 per cento, Madrid ha visto scendere i prestiti del 46,7 per cento. In difficoltà anche le aziende dei Paesi Bassi che hanno subito una riduzione dell’8,1 per cento.



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