non sono un buon affare per l’UE

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Milioni di euro di sovvenzioni agli stabilimenti guidati da aziende di Pechino. Ma ben poche garanzie di trasferimento di tecnologie. Né di rispetti degli standard ambientali e sociali. L’Europa rischia di diventare solo un polo di assemblaggio, avverte Transport & Environment

crediti: CATL

L’Europa garantisce un massiccio sostegno pubblico alle gigafactory cinesi sul suo territorio. Ma senza garanzie di trasferimento tecnologico o benefici per l’industria locale. E senza vincoli di rispetto degli standard ambientali e sociali.

“Le partnership con l’Asia sono state presentate come strumenti di condivisione delle conoscenze, un modo per l’industria europea per recuperare terreno rispetto ai competitor asiatici. Ma non si stanno traducendo in vantaggi per la nostra industria. E a volte non rispettano nemmeno le normative ambientali o gli standard lavorativi dell’UE”, denuncia Esther Marchetti, Clean Transport Manager di Transport & Environment Italia. T&E ha pubblicato oggi uno studio sulle gigafactory cinesi in Europa.

Gigafactory cinesi di batterie EV in Europa, cosa non quadra?

Le gigafactory di CATL in Ungheria e LG Energy Solution in Polonia hanno ricevuto almeno 900 milioni di euro in sovvenzioni, principalmente dal Fondo europeo per la ripresa post Covid. Tuttavia, la Commissione UE non ha imposto condizioni ambientali o sociali per l’erogazione di questi fondi.

In entrambi i siti sono state riscontrate violazioni della Direttiva UE sulle Emissioni Industriali. Gli sforamenti riguardano i limiti per il NMP, una sostanza chimica tossica utilizzata nella produzione di catodi. Inoltre, in Ungheria ci sono preoccupazioni anche per il possibile inquinamento delle acque.

L’altro grande problema dell’Europa con le gigafactory cinesi è che le sovvenzioni non vengono erogate a fronte di scambio di tecnologie. Le joint venture Volkswagen-Gotion (in Germania) e CATL-Stellantis (in Spagna) ricevono ingenti investimenti. Ma non prevedono un vero trasferimento di competenze tecnologiche o industriali.

In Cina e USA esistono regole precise sul trasferimento tecnologico. In UE no. Ed è un problema. Anche in chiave strategica. Senza regole chiare, l’Europa potrebbe ridursi a un semplice centro di assemblaggio per batterie prodotte altrove, spiega T&E. I numeri rendono legittimo questo timore. Il 90% delle batterie in UE è prodotto da aziende asiatiche, e il 40% delle gigafactory annunciate è di proprietà cinese o sudcoreana.

Per evitare questo scenario, l’UE dovrebbe introdurre condizioni stringenti su aiuti di Stato, investimenti esteri e trasferimento tecnologico. Servirebbe quindi un’indagine sui sussidi statali cinesi, oltre a regole sulla CO2 e sulla proprietà intellettuale, conclude il rapporto.



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