Dal giogo del gas al vittimismo (infondato) delle imprese energivore. La fame di elettricità in Italia spiegata bene

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Dal giogo del gas al vittimismo (infondato) delle imprese energivore. La fame di elettricità in Italia spiegata bene

Finirà che a un certo punto saliranno tutti sul carro del nucleare. Se non per convinzione, per necessità. Di strade alternative ce ne sono poche. Basta vedere le ultime dichiarazioni del presidente di Confindustria Emanuele Orsini. 

 “Il mix energetico per la competitività è fondamentale, dobbiamo arrivare a un mix energetico tra fonti rinnovabili e nucleare e il nucleare di terza e quarta generazione è quello giusto per incrementare le fonti di energia rinnovabili“. Il numero uno di Viale dell’Astronomia ha giudicato favorevolmente la partnership tra Enel, Ansaldo e Leonardo per il progetto sul settore delle nuove tecnologie dell’atomo. Il microreattore sarà “un aiuto a sostegno del basso prezzo dell’energia“, perché i costi non impattano solo sull’industria, ma anche su cittadini e imprese. 

Una storia scellerata

Ma perché siamo finiti in questa situazione? Perché sto prezzo continua a essere più alto degli altri paesi europei? Purtroppo la maggior parte dei colpevoli non sono più al comando oggi (ma gli si potrebbe chiedere conto in Parlamento). Il sistema energetico italiano è il risultato di scelte politiche e ideologiche avvenute nel passato. E ora i nodi vengono al pettine. Sono nodi che fanno male. 

Siamo quelli in Europa che usano più gas per generare elettricità. Peccato che l’Italia non produca gas e lo debba comprare all’estero, peraltro su piattaforme che orientano i mercati e sono anche preda di speculatori finanziari, cui non interessa quanto costa l’energia, ma interessa solo fare trading. Il risultato è che il conto da pagare è sempre salato e il tutto accade in un contesto per cui avremo sempre più bisogno di energia, basta pensare a quanto siamo dipendenti da cellulari, cloud e in generale dalla tecnologia.

Rinnovabili col freno a mano

E quindi? Ovviamente bisogna puntare sulle rinnovabili, in particolare eolico e solare. Però vento e sole non ci sono sempre e quindi la generazione non basta da sola a riequilibrare il mix. Servirebbero più rinnovabili, e uno potrebbe pensare che servano tanti soldi. Invece no, servirebbero solo tante firme. Ci sono giga di potenziale produzione pronti a essere installati, ma gli impianti sono bloccati da lacci e lacciuoli burocratici. Sull’idroelettrico invece l’Italia è riuscita a fare un capolavoro. Un harakiri in piena regola con il quale la nazione si è auto imposta delle gare per mettere all’asta le concessioni, una procedura che non fa nessuno al mondo e che espone a due rischi: gli ingenti investimenti che servirebbero nell’immediato, saranno invece rimandati o eliminati e le centrali idro potrebbero finire in mani straniere.

Ed ecco che come in un gioco dell’oca si torna al nucleare, e ci si arriva seguendo il percorso del pragmatismo, non quello dell’ideologia. Certo, servirà una fase di studio del settore e ci vorranno degli anni ma i primi SMR, impianti di nuova generazione di dimensioni ridotte, come quelle di un piccolo fabbricato, tra 5/6 anni saranno realtà. Dice: “eh ma costano tanto”. E invece per niente. Costano, ma molto meno di quanto ci si aspetterebbe e qualcuno sta iniziando a fare i calcoli. Considerando anche i costi di sistema, alla fine il prezzo al MW di una nuova centrale è competitivo rispetto alle rinnovabili. Il dato è emerso anche nel corso dell’ultima audizione sul nucleare alla Camera. 

Gli incentivi per le industrie

Nel frattempo, mentre si spera che il nucleare riesca a farsi strada nella cultura del Paese, bisogna aiutare le imprese. E il compito è stato preso sul serio dal governo, anche in passato.

Anche in questo caso, i numeri stanno iniziando a circolare e a ben vedere le aziende energivore (ossia quelle che consumano più elettricità) sono anni che godono di una serie di benefici. Ce n’è uno che si chiama Interconnector, introdotto nel 2010, che consente agli energivori di pagare, su una parte dei consumi, lo stesso prezzo pari dei mercati confinanti, che è spesso più basso (pensiamo alla Francia col nucleare). Il meccanismo costa al sistema circa 400 milioni all’anno. 

Un altro beneficio è quello legato alla cosiddetta “Interrompibilità”, meccanismo attivo dal 2008 che in sostanza garantisce un indennizzo per il solo fatto che la fornitura di elettricità potrebbe (condizionale) interrompersi in caso di necessità di Terna. La misura vale circa 500 milioni, ma c’è da notare che si è trattato di un servizio attivato solo in rari casi di emergenza, mentre ha garantito una compensazione di costo stabile nel tempo. 

C’è poi il “rimborso dei costi indiretti di CO2”, una misura introdotta più di recente (2020) che compensa i costi della CO2 trasferiti dai produttori di energia termoelettrica nel prezzo finale dell’elettricità. Un meccanismo che si stima impatti per 140 milioni, che il governo avrebbe previsto di raddoppiare nel 2025.

Il totale fa più di un miliardo di aiuti agli energivori, cui si aggiungono altri benefici come l’esenzione totale di alcune componenti tariffarie a copertura degli oneri generali di sistema (i cosiddetti ASOS, oneri per il supporto delle fonti rinnovabili) per un totale di circa 1,1 miliardi di euro.

Una volta messe in fila tutte queste misure, di cui non godono le piccole e medie imprese e che finiscono per impattare sulle bollette dei consumatori, il grido d’allarme delle imprese energivore perde un po’ la sua efficacia e finisce anzi per sfociare in una sorta di vittimismo di maniera. Siamo certi che ci sono piccole industrie che farebbero carte false (e smetterebbero di criticare il governo) anche solo per la metà di quegli aiuti.



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